sabato 26 febbraio 2022
Roskomnadzor, l'ente statale russo per il controllo sugli organi di informazione russi, ha ordinato di eliminare le parole «invasione» o «offensiva». Facebook non ci sta e la Bbc svela le bugie
Il preidente ucraino Volodymyr Zelenskiy su Instagram: il leader è un assiduo utilizzatore dei social e per questo bersaglio di haker e propaganda russi

Il preidente ucraino Volodymyr Zelenskiy su Instagram: il leader è un assiduo utilizzatore dei social e per questo bersaglio di haker e propaganda russi - Reuters

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La guerra delle parole si combatte con ogni mezzo. Ed è anche più efficace, spesso, dei missili e delle bombe. Incide più in profondità, crea la merce più preziosa dell’era dei social, la più ambita. la post-verità, che un tempo quando tutti eravamo più giovani si chiamava, semplicemente, bugia. Così Roskomnadzor, l'ente statale russo per il controllo sui media (mutuato sul fascista Minculpop e sulle veline siglate “Star” del Tragico ventennio, che il «denazificatore» Vladimir Vladimovic deve avere studiato molto bene però) ha ordinato agli organi di informazione nazionali di rimuovere dai loro contenuti qualsiasi riferimento a civili uccisi dall'esercito russo in Ucraina, nonché i termini «invasione», «offensiva» o «dichiarazione di guerra». «Sottolineiamo che solo le fonti ufficiali russe hanno informazioni attuali e affidabili», ha indicato Roskomnadzor in una nota. Mosca definisce ufficialmente il suo intervento in Ucraina una «operazione militare speciale» destinata al «mantenimento della pace».

I più colti posso trovare riferimenti letterari. Come “La raccolta di silenzi del dottor Murke” che fu pubblicata per la prima volta nel 1955 da Heinrich Böll. per non svelare la trama, per chi non l’avesse letto, basto sapere che il dottor Murke lavora alla radio pubblica e gli viene dato l’incarico di correggere alcune registrazioni del “grande Bur-Malottke”, saggista, filosofo, scrittore. La correzione è semplice ed è lo stesso Bur-Malottke a richiederla: si deve sostituire la parola “Dio” con la formulazione “quell’essere superiore che veneriamo”. L’esito dei tagli e delle sostituzioni sarà incredibile, ottenendo così un effetto devastante. Un po’ come sta succedendo in queste ore con i media.

E l’ingrediente fondamentale di questa torta della «dinformazia» sono le fake news che quattro anni di presidenza Trump ci hanno insegnato a conoscere e trasformare in un neologismo ormai di pubblica fruizione. Così è falso il video di una caccia russo abbattuto nei cieli di Kiev; vera quella dell’ex presidente ucraino, Petro Poroshenko, che imbraccia un kalashinikov per unirsi alla resistenza civile della capitale all’avanzata di Mosca. La guerra di Vladimir Putin all’Ucraina e al mondo si combatte anche sul Web attraverso immagini false e fuorvianti che alimentano disinformazione e propaganda. La denuncia è arrivata, ieri, dalla redazione «fact-checking» della Bbc che ha verificato l’attendibilità di diversi filmati sulla crisi ucraina visualizzati e rilanciati sui social network centinaia di migliaia di volte. Realizzati con girati risalenti a parate, esercitazioni o vecchi conflitti, in Europa e in altre parti del mondo, alcuni post sono diventati “virali” con l’hashtag «WWIII», Terza guerra mondiale.

L’emittente pubblica britannica ha confermato, per fare altri esempi, la natura fasulla della clip sui paracadutisti moscoviti che si lanciano sulla città ucraina di Kharkiv e quella di una pattuglia aerea russa che sorvola Kiev. Il video condiviso da un account Twitter in lingua cinese con la didascalia «Putin il Grande ha attaccato l’Ucraina» è stato facilmente riconducibile all’esplosione di un edificio portuale a Beirut, in Libano, ad agosto 2020. La giornalista Olga Robinson, incaricata del servizio monitoraggio della Bbc, ha sottolineato che la diffusione delle “fake news” «potrebbe essere intenzionale». La velocità con cui i social propagano gli errori fa poi la sua parte. La guerra si combatte, spiega, «anche aspettando qualche secondo prima di premere il pulsante “condividi”».

Ma le vendette russe non si fanno attendere. Come quella su Facebook. Ha scritto ieri Nick Clegg, presidente per i global affairs di Meta, la società a cui fa capo Facebook: «Le autorità russe ci hanno ordinato di fermare il fact-cheking indipendente sul contento postato su Facebook di quattro organizzazioni media controllate dallo stato. Abbiamo rifiutato. E il risultato è stato l'annuncio della restrizione del servizio».

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