domenica 7 marzo 2021
In Sudafrica, i docenti hanno ospitato gli allievi, in piccoli gruppi, nei loro domicili. In India hanno dipinto le lavagne sui muri delle capanne. E in Honduras hanno creato mensa porta a porta
Installazione sul tetto del palazzo Onu a New York per rappresentare la «scuola negata» dalla pandemia

Installazione sul tetto del palazzo Onu a New York per rappresentare la «scuola negata» dalla pandemia - Ansa

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A tal punto preoccupati del rendimento scolastico dei propri studenti in vista degli esami finali, con un lockdown duro in corso e le scuole sigillate, i professori della Dendron Secondary School di Limpopo, nel Sudafrica settentrionale, hanno messo da parte i timori per il contagio e si sono letteralmente portati il lavoro a casa. A piccoli gruppi, quattro allievi per ciascuno, li hanno accolti nelle loro abitazioni, anche per la notte, e li hanno seguiti da vicino negli studi.
«Alla fine dello scorso anno scolastico, per superare gli esami i ragazzi dovevano avere il tempo di terminare il programma. Era però necessario anche limitare i loro spostamenti per evitare che contraessero e trasmettessero il virus», ci racconta Moloko Matsapola, lo stimato preside che ha trasformato la Dendron School, poco equipaggiata e dai fondi limitati, in un istituto che sforna tra i più brillanti e preparati allievi del Paese. «L’esperimento prosegue. Oggi a casa dei docenti ci sono circa 100 studenti. I vantaggi superano gli svantaggi: le lezioni a distanza non sono affatto efficaci e tra l’altro molte famiglie indigenti non posseggono telefoni cellulari, figuriamoci Whatsapp e WiFi». La passione per il lavoro può tutto, ma il rischio resta comunque alto in una nazione, il Sudafrica, che ha registrato il numero maggiore di casi di Covid-19 dell’intero Continente.
Qui 1.169 insegnanti hanno perso la vita per il coronavirus, secondo i dati resi pubblici a febbraio dal ministero dell’Istruzione. Proprio per il particolare pericolo corso e per il valore sociale di quello che fanno, l’Unesco ed Education International, federazione che rappresenta 30 milioni di lavoratori della scuola in 178 Paesi, hanno lanciato un appello a governi e comunità internazionale affinché il personale scolastico venga considerato a livello globale gruppo prioritario per la vaccinazione anti-Covid. Anche perché, con 500 milioni di studenti ancora oggi costretti a casa (dati Onu), è diventato improrogabile riportare bambini e ragazzi in classe. «Nel nostro Paese noi docenti non compariamo nella lista delle prime categorie da vaccinare» ci racconta al telefono dall’Honduras Bessy Murillo, insegnante e preside del centro prescolare “Zita Salgado”, nella comunità di Villa Vieja.

«Fino ad ora sono arrivate 5mila dosi da Israele per medici, infermieri e personale del servizio civile che si trovano in prima linea». Eppure anche Bessy e i suoi colleghi sono particolarmente esposti: malgrado le scuole siano rimaste chiuse a lungo, lei e gli altri insegnanti hanno distribuito alle famiglie degli allievi le razioni di cibo che normalmente si assicurano dopo le lezioni. Per molti la perdita del pasto garantito in classe significa solo fame: con la pandemia è accaduto a 370 milioni di bambini nelle 199 nazioni in cui le scuole sono state chiuse.
In Honduras il governo, con il World Food Programme e l’Unicef, ha adottato protocolli per garantire che le razioni vengano distribuite ugualmente, coinvolgendo appunto gli insegnanti. «Nei mesi scorsi abbiamo consegnato ai nostri allievi razioni di fagioli, riso, farina di mais e olio, alimenti di estrema importanza perché tra padri senza lavoro, madri sole e chi cerca di nutrirsi nella discarica, la mancanza di cibo qui è una realtà», prosegue Bessy Murillo. «Da venerdì riprendiamo la distribuzione ai nostri 81 studenti che in tempi normali ricevevano la porzione quotidiana a scuola. Quei momenti mi mancano».
La versatilità richiesta agli insegnanti di ogni latitudine in alcuni Paesi diventa urgenza di trovare soluzioni a problemi estremi. Il Covid-19 li ha messi ancora di più alla prova: lo sa bene il professore Sapan Kumar, che con i colleghi della scuola governativa del villaggio di Dumarthar, nello Stato federato del Jharkhand, India nord orientale, ha avuto l’idea di dipingere sui muri di terra battuta delle casupole degli studenti oltre un centinaio di superfici simili a lavagne, per tenere le lezioni all’aperto. Niente smartphone e comunque nessuna connettività di rete nei paraggi, il programma scolastico si segue scrivendo sui muri e ascoltando la voce degli insegnanti amplificata da un megafono portatile. Come accade in questo villaggio, al mondo due terzi degli studenti tra i 3 e i 17 anni non hanno una connessione Internet in casa (dato Unicef e Itu). «Al pensiero che fosse in gioco il futuro di 295 bambini, non riuscivo a prendere sonno la notte», ha detto Sapan Kumar alla stampa locale. «Poi ho pensato: perché non andare a insegnare fuori dalla porta di casa loro?»
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