domenica 14 dicembre 2014
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C’era un giudice (donna) a Teheran. Ora quel giudice sta seduto, in un tailleur con pantaloni, in uno dei saloni del Campidoglio. Parla in farsi, simbolo di una civiltà millenaria, l’iraniana Shirin Ebadi, 66 anni, gli ultimi 5 vissuti in esilio e sotto scorta fra Londra e gli Usa. Giunta nella Città Eterna per il summit dei premi Nobel per la Pace che si chiude oggi (lei lo è stata nel 2003), analizza i sempre 'caldi' dossier mediorientali: «L’Iran continua ad avere i suoi problemi, ma la vera emergenza di questa fase storica è l’Is. Non dobbiamo dimenticarci che l’Is non è solo un gruppo terroristico, ma è un’ideologia. E l’ideologia non la si combatte con le bombe. L’esperienza con i taleban lo dimostra». Stiamo sbagliando tutto, insomma? Sì, l’Occidente sta sbagliando metodo. L’Is è un manipolo di fondamentalisti e per combattere il fondamentalismo bisogna aggredirne le cause alla radice, che sono sostanzialmente due: l’analfabetismo e la mancanza di giustizia sociale. I Paesi occidentali stanno spendendo moltissimo denaro in bombe. Invece dovrebbero bombardare con dei libri. Bello slogan. Ma è difficile, di questi tempi, esportare cultura da quelle parti, non trova? Noto però che tante imprese occidentali continuano a lavorare in territori difficili, per motivi di business. Qualcosa si potrebbe tentare allora anche per finanziare delle scuole... E poi ci sono gli errori del passato: l’Occidente deve capire che i dittatori vanno combattuti sempre e a ogni condizione. Non esistono dittatori da «tenersi buoni», per motivi geopolitici o magari economici. Sono loro che creano quelle sperequazioni fra ricchi e poveri dalle quali deriva l’ingiustizia sociale che finisce per far attecchire il fondamentalismo. È preoccupata per la Siria? Oggi la Siria rappresenta qualcosa di molto doloroso: oltre 2 milioni di persone hanno perso casa, i bambini non vanno più a scuola. All’inizio era una rivolta pacifica contro al-Assad. Purtroppo il governo iraniano ha sostenuto quel regime. Si è venuto a creare un vuoto prontamente occupato dall’Is, che sta riuscendo ad attirare molte persone. Come si può fermare questo processo? Dobbiamo intaccare la loro capacità di reclutare gente. E per far questo dobbiamo trasmettere loro ideali più sani, giusti. Per l’Is tutto è compatibile con l’islam. I musulmani moderni devono dimostrare che non è così, che esistono varie interpretazioni dell’islam, che si può essere musulmani e rispettare i diritti umani, e trattare le donne come gli uomini. Vedo che insiste molto sull’istruzione. Certo. Si è mai chiesto cos’è che temono di più i grandi fondamentalismi, che ci sono stati in tutte le culture e civiltà? Non sono i raid aerei, non sono i soldati, ma è l’istruzione. Per questo vietano di andare a scuola, per questo spararono a Malala nel 2012. Loro temono la consapevolezza della gente, l’apertura delle menti, la conoscenza che è la vera forza capace di cambiare il mondo. Per questo dobbiamo cambiare metodo. Ha citato Malala. Cosa pensa delle vicende di altre due donne, Meriam e Asia Bibi? Resto interdetta da tutti i crimini che si commettono in nome della religione. Derivano da un’interpretazione sbagliata della sharia. Per questo la religione va separata dallo Stato. Lei di queste interpretazioni è stata vittima. Eppure il popolo festeggiò la cacciata dello Scià nel 1979. Sì, eravamo felici. Ma avevamo sbagliato. Già 6 settimane dopo, l’8 marzo, le autorità diedero l’ordine che tutte le dipendenti pubbliche dovevano coprire la testa col foulard. Poco dopo fui rimossa dal tribunale. E cosa vede all’orizzonte della sua vita? Tornare un giorno a Teheran e aprire un ufficio da «avvocato dei diritti umani». Magari vicino al tribunale dove lavoravo.
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