
I bambini sulle macerie di una città della Siria - Ansa
La Siria ripiomba nelle dinamiche dio un tempo. Almeno 22 persone, la maggior parte lavoratrici agricole, sono state uccise in un attentato vicino Manbij, nella Siria settentrionale, dove le fazioni filo-turche stanno combattendo le forze curde. Citando i soccorritori, l'agenzia ufficiale siriana Sanasi è trattato di «un massacro» provocato «dall'esplosione di un'autobomba vicino a un autobus» che trasportava i lavoratori: delle 22 vittime, ventuno erano donne e un uomo. Molte altre donne sono rimaste ferite, alcune in condizioni critiche. Si tratta del sesto attentato nella zona a partire da dicembre, ossia da quando le fazioni filo-turche hanno colto la caduta del regime di Bashar al-Assad per strappare l'area di Manbij alle Forze democratiche siriane (Sdf), una coalizione di milizie a maggioranza curda composta principalmente dalle Unità di protezione del popolo (Ypg), considerate “organizzazione terroristica” dalla Turchia. Due giorni prima, nella stessa città, nove persone erano morte nell'esplosione di un'automobile nei pressi di una postazione militare delle fazioni filo-governative. Ma non sono soltanto gli attentati a sfondo etnico a rendere la «nuova Siria» ancora insicura e vulnerabile.
Alcuni corpi senza vita di persone legate al vecchio regime o prelevate dagli apparati della sicurezza sono stati rinvenuti nelle ultime ora a Jableh, vicino a Latakia, e nella campagna di Homs. Venerdì scorso, 10 alauiti sono stati uccisi a sangue freddo nel villaggio di Arzah, vicino a Hama, in quello che sembra una vendetta contro la comunità di appartenenza di Assad. Altri morti sono stati invece segnalati in tutto il Nord, da Aleppo a Hassake, in scontri tra l'Esercito nazionale siriano, coalizione sostenuta da Ankara, e i curdi delle Sdf oppure in attacchi di droni turchi. La questione del controllo curdo di buona parte del Nord siriano sarà sicuramente presente ai colloqui di oggi ad Ankara tra il presidente siriano ad interim Ahmed al-Sharaa (deposto il nome di Abu Mohammed al-Jolani) e il capo di Stato turco, Recep Tayyip Erdogan. Si tratta della seconda visita all'estero del nuovo uomo forte della Siria dopo quella effettuata domenica in Arabia Saudita (dove peraltro aveva trascorso i suoi primi anni di vita), dove ha incontrato il principe ereditario Mohammed bin Salman. Un comunicato della presidenza turca ha reso noto che «saranno valutate le misure congiunte che i due Paesi dovranno adottare per la ripresa economica, la stabilità sostenibile e la sicurezza in Siria».
Nell'ultimo punto rientra presumibilmente il piano di Erdogan per mettere fine all'attività dei militanti curdi in Siria. Lo scorso 25 dicembre, il rais aveva dichiarato che i combattenti curdi «devono decidere se deporre le armi o venir sepolti in Siria assieme a quelle stesse armi». Secondo alcune indiscrezioni, Ankara chiederà a Sharaa l'apertura di basi militari a Homs e Damasco «formare l'esercito siriano». Per la Siria, si tratta di un passaggio da una tutela militare (quella russa) a un'altra. Ieri, il portavoce del Cremlino ha tuttavia dichiarato che i funzionari russi stanno proseguendo i colloqui con la nuova leadership di Damasco a proposito del destino delle due basi russe presenti in Siria, quella navale di Tartus e quella aerea di Hmeimim, vicino al porto di Latakia.