martedì 20 luglio 2021
Le statistiche ufficiali sono "irrisorie": secondo gli esperti oltre un terzo della popolazione è stato colpito. E la paralisi politica rischia di trasformare il Paese africano in un altro Libano
Pazienti affetti da Covid ricevono le cure all'ospedale Charles Nicole di Tunisi

Pazienti affetti da Covid ricevono le cure all'ospedale Charles Nicole di Tunisi - Reuters, 13 luglio 2021

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«I tunisini si nascondono per morire». È questa frase choc del direttore sanitario generale tunisino a dare il senso della crisi nella piccola Repubblica araba: poco più di 540mila contagiati, per circa 17.500 vittime. Ma ormai le stesse autorità sanitarie nazionali citano numeri diversi, stimando che, da inizio pandemia, su di una popolazione di circa 12 milioni di persone, abbiano contratto il Covid almeno in 4,5 milioni con oltre le 21mila vittime.

Di queste, un quinto non è stato contabilizzato con certezza perché mai «intercettato » dal sistema sanitario. In parte anche complesse ragioni di «omertà sanitaria»: in concreto, per la paura dei malati stessi di non morire lontano dai propri cari in un nosocomio o per la volontà dei familiari di dare loro assistenza e sepoltura degna. Secondo i dettami della religione, della tradizione, della pietà umana.

Perché i protocolli sanitari aiutano a salvare il corpo, ma non curano il vuoto dell’anima che la pandemia sta generando in milioni e milioni di persone. È chiaro che il retro-pensiero è il seguente: gli ospedali pubblici sono al collasso, il malato grave di coronavirus è un condannato senza speranza, tanto vale che rimanga a casa.

Oggi si calcola che in Tunisia il tasso di contagio sia di 800 persone ogni 100mila. Giorno dopo giorno, la diffusione del virus si consolida sul 30 percento dei tamponi effettuati. Una enormità. L’infezione si complica nel 5-10 percento dei casi. Le morti a domicilio vengono constatate dalla protezione civile o dai medici di famiglia: nella maggior parte dei casi i decessi sono classificati come arresti cardiaci, probabilmente – è questo il dubbio delle autorità centrali – per l’interesse dei sanitari locali a coprire le proprie mancanze. Nel frattempo, il mercato nero delle bombole di ossigeno a domicilio ingrassa. Mentre la tragedia impera, c’è chi si sfrega le mani, come accade sempre in tutte le guerre.

E questa è una guerra, combattuta senza le armi adeguate. La campagna vaccinale non riesce a ingranare la marcia giusta. Il motore si è inceppato: dal suo avvio a metà marzo, hanno ricevuto una dose 2.304.472 persone e 755.428 entrambe le dosi. Un incremento nelle somministrazioni dovrebbe aversi nei prossimi giorni, ha assicurato il ministero, anche per via di numerose donazioni di dosi ricevute da Paesi amici. Venerdì scorso, al porto di Rades a Tunisi è giunta da Napoli la prima nave italiana carica di aiuti donati dalla Cooperazione italiana: cinque container contenenti ventilatori polmonari, mascherine protettive, guanti, camici chirurgici e gel igienizzante. Mentre le iniziative di solidarietà da parte della sponda Nord del Mediterraneo si moltiplicano, il clima politico tunisino si surriscalda in modo allarmante.

Il Parlamento si sta trasformando in un ring: la presidentessa del Partito Desturiano Libero, la controversa Abir Moussi (la sua formazione non nasconde di ispirarsi al Rassemblement del defunto dittatore Zine El-Abdidine Ben Ali), é stata schiaffeggiata e strattonata nell’aula della Camera durante la discussione sull’apertura di una sede tunisina di un fondo qatarino. I suoi colleghi della coalizione islamista al-Karama (in arabo la Dignità, appunto) Seifeddine Makhlouf e Sahbi Smara hanno pensato di risolvere le divergenze di opinione con le mani. Le sanzioni loro comminate sono state le più severe previste dal codice di comportamento parlamentare: la privazione della parola per tre sedute consecutive. E stop.

Mentre islamisti e nostalgici si affrontano rabbiosamente attaccandosi all’osso di un Paese sfibrato dalla crisi sanitaria, sociale, economica, il blocco delle sigle democratiche cerca di rialzare la testa dandosi una nuova leadership: Noomen el-Euch, già dirigente e coordinatore del partito Attayar (Corrente democratica), è stato eletto a fine giugno alla guida del Bloc Démocratique. Il blocco è la seconda formazione nell’Assemblea del popolo, la Camera tunisina, dietro agli islamisti moderati di Ennahda, La Rinascita. La paralisi istituzionale in cui la Tunisia versa da sei mesi – con un braccio di ferro senza soluzione di continuità fra il premier Hichem Meshishi e il presidente della Repubblica Kaïs Saïd – ricorda, seppure con mille distinguo, quella libanese. Sospesa, a un passo dal precipizio.

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