mercoledì 11 giugno 2025
Gaza non ha più terre coltivabili, le fattorie e le serre sono state rase al suolo dai raid, la fauna selvatica è stata decimata, gli uliveti e i frutteti contaminati
La distruzione di Gaza

La distruzione di Gaza - REUTERS

COMMENTA E CONDIVIDI

Israele nella Striscia di Gaza sta distruggendo irreparabilmente gli ecosistemi naturali, avvelenando l’aria, l’acqua, la terra. Oggi Gaza non ha più terre coltivabili; le fattorie e le serre sono state rase al suolo dai raid israeliani; la fauna selvatica è stata decimata; i campi di fragole, gli uliveti (vitali per il biosistema della Palestina), i frutteti e le piante sono stati contaminati dai residui delle bombe. Senza foraggio, il 95% del bestiame di Gaza è morto, come ha segnalato mesi fa la Fao.

Gli attacchi dell’esercito israeliano alle infrastrutture hanno danneggiato gli impianti di desalinizzazione e i pozzi idrici, riducendo del 93% rispetto a prima della guerra la disponibilità d’acqua potabile; uno studio condotto dalle Nazioni Unite ha confermato che un anno fa la quantità fruibile per persona, al giorno, era di circa 2-8 litri: ben al di sotto, cioè, non solo della soglia minima di emergenza stabilita dall’Oms (15 litri) ma anche delle raccomandazioni standard di 50-100 litri al giorno.

Le distruzioni su larga scala degli edifici, delle strade e degli impianti civili di Gaza fin dai primi mesi del conflitto ha prodotto svariati milioni di tonnellate di detriti, alcuni dei quali contaminati con ordigni inesplosi, amianto e altri sostanze tossiche, molto pericolose - anche a lungo termine - per la salute umana e animale. Sepolti, tra la polvere e i calcinacci, ci sono anche resti umani.
I fumi prodotti dall’incenerimento di svariate centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti a cielo aperto (accumulati dopo il danneggiamento degli impianti di trattamento) stanno inoltre contribuendo in modo importante alla diffusione di malattie e a un inquinamento atmosferico elevatissimo. Le poche iniziative che la municipalità di Gaza può mettere in campo non sono sufficienti a contrastare il rapido deterioramento dell’ambiente.

Quelli prodotti dall’offensiva sono danni gravissimi che continueranno ad essere avvertiti per decenni: a sottolinearlo sono gli autori di un nuovo studio internazionale sul costo climatico dei bombardamenti su Gaza pubblicato dal Social Science Research Network. Il “paper” si è concentrato sulle emissioni di gas serra associate all’uso di materiali bellici (e alle attività militari in genere, compresi i voli dei cargo dall’Europa e dagli Usa per rifornire di armi Israele) e, tra gli altri, sugli effetti del consumo da parte dei gazawi di milioni di litri di carburante per far fronte alla crisi energetica causata dalla distruzione dell’unica centrale elettrica e della rete ad energia solare. Nei primi 15 mesi di conflitto la quantità di carbonio emessa – quasi due milioni di tonnellate – ha superato di gran lunga la quota prodotta ogni anno da 36 Paesi: se i razzi di Hamas e il carburante per bunker rappresentano lo 0,2% di tali emissioni, l’approvvigionamento e l’uso di armi, carri armati e altri armamenti da parte di Israele ne rappresentano il 50. I ricercatori hanno anche stimato quale potrebbe essere il costo climatico della ricostruzione: 32 milioni di tonnellate di carbonio, una cifra che equivarrebbe alla gestione di 84 centrali elettriche a gas per un anno. Pur non ancora ufficialmente riconosciuto come crimine internazionale dalla Corte Penale Internazionale, molte fonti scientifiche e osservatori ambientali parlano di ecocidio in atto a Gaza.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: