sabato 5 ottobre 2019
Le forze di sicurezza irachene hanno sparato sulla folla a Baghdad per disperdere i manifestanti raccolti, per il quarto giorno consecutivo, nonostante il coprifuoco. Oltre 3.000 i feriti
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La rivolta in Iraq non si ferma. Nonostante il coprifuoco. Nonostante le vittime. Stamattina si è ripetuto il tragico copione di ieri: le forze di sicurezza irachene hanno sparato, questa volta ad altezza uomo per disperdere i manifestanti raccolti, per il quarto giorno consecutivo, nella centrale piazza Tahrir della capitale. Al momento non si hanno notizie di vittime. Da martedì, migliaia di manifestanti si scontrano con la polizia in assetto antisommossa e con l'esercito nella capitale e nelle città meridionali del Paese.

Salgono così ad almeno cento le persone morte negli scontri (oltre tremila i feriti) da martedì, quando i manifestanti sono scesi in piazza per contestare il governo corrotto, denunciare la disoccupazione dilagante e lamentare la carenza di servizi di base e il carovita. A ordinare il coprifuoco il primo ministro iracheno Adil Abdul-Mahdi. La rete Internet è stata quasi totalmente bloccata in tutto il Paese. Tra le vittime anche due poliziotti e un bambino. Nuove proteste sono attese nel primo pomeriggio, dopo la preghiera islamica del venerdì.

Giovedì in vari quartieri di Baghdad, ma anche in altre località del Paese, a migliaia sono scesi in strada. A detta di varie testimonianze concordanti, la polizia avrebbe cercato di sciogliere gli assembramenti con lacrimogeni e sparando in aria. Nelle immagini mandate in onda dall'emittente Al-Sharqiya, si vedono manifestanti che incendiano pneumatici e alzano barricate per bloccare l'accesso alle strada. In cinque province, sono stati assalti edifici pubblici e sono stati accesi roghi, tanto che a Nassiriyah e a Dhi Kar è stato proclamato il coprifuoco a partire dalle ore 20. A Baghdad i manifestanti hanno raggiunto la centrale piazza Tharir nonostante i posti di blocco della polizia, molti altri hanno raggiunto l'aeroporto della capitale. Nella cosiddetta "zona verde" - dove si trovano edifici governativi e numerose ambasciate - le forze di sicurezza erano presenti in massa.

Il governo ha ordinato un'inchiesta sulle violenze di questi giorni, vani finora gli appelli a mantenere la calma da parte del premier Adel Abdel Mahdi. Le Nazioni Unite, attraverso la loro rappresentante Jeanine Hennis-Plaschaert, hanno manifestato "grave preoccupazione" e ha chiesto alle autorità "di mostrare moderazione" nell'affrontare le proteste. L'Iran ha annunciato la chiusura di due valichi di frontiera con l'Iraq.Iraq2.jpg

Proteste anche in Libano e Egitto, malcontento in Giordania

Quello iracheno non è un incendio limitato. Le proteste nel Paese fanno eco a quelle avvenute di recente in Libano e in Egitto, al perdurante malcontento in Giordania, e al disordine imperante nella vicina Siria. Con l'acqua potabile e l'elettricità razionate, con un accesso sempre più limitato a servizi sanitari e scolastici di qualità, senza lavoro e senza prospettive di poter emigrare all'estero, a est del Mediterraneo centinaia di migliaia di giovani stanno dando voce alla loro rabbia per una situazione descritta dagli analisti come "esplosiva".

Nei giorni scorsi in Libano, dove una popolazione di meno di quattro milioni di persone vive accanto a circa un milione di profughi siriani, centinaia di persone sono scese in piazza per chiedere un urgente intervento del governo contro la crisi economica. Nelle settimane scorse si era invece riaccesa in Egitto la fiamma delle proteste, incentrate sul tema dei diritti politici. In Giordania, gli insegnanti delle scuole pubbliche sono in rivolta, ma il malcontento avvolge ampi settori delle comunità del regno hascemita. Analisti locali notano che al di là delle differenze tra i contesti nazionali, la regione si sta infiammando a causa delle crescenti disparità e dell'assenza di strategie di inclusione dei settori più vulnerabili delle società. Anche nella vicina Siria, il conflitto economico dilaga anche se la guerra prosegue solo in alcune aree del martoriato Paese. Ai problemi di sicurezza si aggiungono i segnali di una insofferenza sociale profonda, accentuata dalle conseguenze di otto anni di guerra.

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