sabato 14 giugno 2014
Il presidente Rohani valuta "una collaborazione" per fermare l'avanzata degli Jihadisti. Gli Usa mandano una portaerei nel Golfo Persico.  L'Onu: un milione di sfollati: LE FOTO
Quella "stupida guerra" ereditata da Bush (E.Molinari)
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L'Iran sta valutando l'ipotesi di collaborare con gli Stati Uniti per contrastare l'avanzata dei jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) in Iraq. Lo ha dichiarato il presidente iraniano Hassan Rohani nel corso di una conferenza stampa a Teheran, dove ha aperto la porta all'ipotesi di collaborazione con Washington contro "gruppi terroristici in Iraq e da altre parti". "Dobbiamo contrastare nella pratica e con le parole i gruppi terroristici", ha detto citato dalla televisione di Stato.Rohani ha però escluso l'invio di propri militari in Iraq, smentendo così quanto sostenuto ieri da fonti governative irachene citate dalla Cnn che parlavano di almeno 500 uomini delle Guardie della Rivoluzione inviati da Teheran nella provincia di Diyala. Il presidente iraniano ha comunque spiegato che Teheran è pronta ad aiutare il governo iracheno nella sua lotta ai gruppi sunniti estremisti nell'ambito del diritto internazionale, aggiungendo che finora Baghdad non ha fatto richiesta di assistenza.Dal canto suo anche Obama ha precisato che non ci saranno truppe sul terreno, ma c'è chi ipotizza interventi aerei, magari guidati da droni. Un intervento che secondo gli esperti militari potrebbe scattare anche a 24 dall'ordine di attacco. Intanto però una portaerei Usa si sta dirigendo verso il Golfo Persico, per offrire "ulteriore flessibilità" per intervenire qualora fosse necessario "proteggere vite di cittadini e interessi americano in Iraq", ha fatto sapere il segratrio alla Difesa Chick Hagel.Intanto l'esercito iracheno oggi ha riconquistato la zona di Muttassim, a nord di Baghdad, riaprendo la via che dalla capitale porta a Samarra. Secondo quanto ha annunciato il governatore di Salahuddin, Ahmed Abdullah al Jiburi, "per riconquistare quella zona abbiamo ucciso 170 terroristi islamici". Intanto l'associazione degli ulema islamici ha invitato l'opinione pubblica a prendere le armi contro i miliziani dell'Isis. In una nota i dotti islamici hanno chiesto ai fedeli di schierarsi contro i gruppi estremisti. Un appello ribadito anche del primo ministro Nuri al Maliki, che ha chiesto a "tutti coloro in possesso di armi" di combattere "contro lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante" (Isis). In un discorso televisivo alla nazione, Maliki si è rivolto alle forze paramilitari e tribali: "Il Paese è con voi, il governo è con voi", ha affermato, aggiungendo che "non c'è differenza tra sunniti e sciiti, esiste solo l'Iraq". 

Uomini iracheni in attesa davanti al centro di reclutamento per volontari a Baghdad (Ap)Al Maliki ha anche minacciato la pena di morte per i disertori che non torneranno alle loro unità. "Coloro che non ripareranno ai loro errori tornando immediatamente alle loro unità per combattere - ha affermato Maliki in un discorso televisivo - saranno puniti severamente con pene che potranno arrivare alla pena di morte".A Baghdad è stato elevato il livello della sicurezza in vista del possibile arrivo delle milizie. La polizia e l'esercito si stanno coordinando con i volontari delle milizie popolari, ed in particolare con quelli delle brigate Hezbollah e delle Bande della gente della verità, altra formazione sciita. In città invece i prezzi dei beni di prima necessità sono in aumento mentre si registra una fuga delle famiglie più ricche verso l'Iran e il Kurdistan iracheno tramite l'aeroporto di Baghdad per il timore che possa essere chiuso da un momento all'altro. Tra i cristiani nel nord dell'Iraq regna la paura. "La guerra non fa distinzione tra soldati, terroristi e civili. E si abbatte allo stesso modo su cristiani, sunniti, curdi e sciiti", dice da Kirkuk il sacerdote caldeo Kais Mumtaz descrive all'Agenzia Fides il sentimento prevalente tra i cristiani del nord dell'Iraq davanti alla piega che stanno prendendo gli eventi, con l'esercito iracheno che ha lasciato campo aperto ai jihadisti. Nei giorni scorsi, dopo la caduta di Mosul nelle mani dell'ISIS, lo stesso Presidente iracheno sciita Nuri al-Maliki si era detto pronto a armare chiunque avesse deciso di "combattere contro i terroristi". "Ma l'avanzata dei miliziani dell'ISIS" sottolinea padre Kais "è stata possibile solo perchè una parte della popolazione sunnita li appoggia contro il governo centrale e perchè l'esercito è fuggito lasciando armi e veicoli nelle loro mani. Se l'unica via imboccata è quella dello scontro militare settario, ciò porta alla distruzione del Paese". Mercoledì scorso il Patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael I Sako aveva proposto la creazione di un "governo di unità nazionale" come risposta politica alle divisioni settarie che potrebbero portare allo smembramento dell'Iraq.

L'Onu definisce "una tragedia umana" quel che sta accadendo in Iraq e stima in quasi un milione di persone il numero di coloro che hanno lasciato le loro case, in fuga dalle violenze, e sono adesso sfollati all'interno del Paese.

Un bimbo iracheno fuggito da Mosul nel campo rifugiati di Khazir, fuori da Irbil (Ap)

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