lunedì 11 febbraio 2019
Il leader iraniano Rohani arringa la folla attaccando gli Stati Uniti che hanno abbandonato l'accordo sul nucleare
Il presidente iraniano Hassan Rohani arringa la folla riunitasi in piazza Azadi a Teheran (Ansa)

Il presidente iraniano Hassan Rohani arringa la folla riunitasi in piazza Azadi a Teheran (Ansa)

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"La presenza del popolo in questa celebrazione prova che i complotti dei nostri nemici sono stati sventati. Non permetteremo agli Stati Uniti di vincere questa guerra". Con queste parole, riprese dall’agenzia ufficiale Irna, il presidente iraniano Hassan Rohani, ha arringato la folla riunitasi nella piazza Azadi di Teheran in occasione del quarantesimo anniversario della vittoria della rivoluzione islamica.

Nella giornata che conclude le celebrazioni per i quattro decenni della rivoluzione khomeinista che ha segnato la fine del potere dello scia’ Mohammed Reza Pahlavi, il leader iraniano ha parlato di “resistenza” al potere americano non nascondendo le difficoltà economiche provocate dalle sanzioni avviate dopo il ritiro dall’accordo sul nucleare.

Il presidente iraniano Hassan Rohani ha ribadito l'impegno iraniano per l'accordo sul nucleare del 2015

Rohani ha ribadito la volontà del suo governo di "proseguire l'impegno costruttivo" con la comunità internazionale sull'intesa nucleare del 2015 ricordando che "Oggi l'85% del nostro equipaggiamento militare, necessario per la difesa del Paese, è di produzione interna".

L’ Iran conclude oggi le celebrazioni per i quarant'anni della rivoluzione khomeinista che ha determinato la fine della monarchia e la costituzione della Repubblica islamica. I “Dieci giorni dell’alba”, come viene definito il periodo intercorso tra il rientro, il primo febbraio 1979, di Ruhollah Khomeini dal suo esilio e la rimozione ufficiale dello scià Mohammed Reza Pahlavi, l’11 febbraio dello stesso anno, sono stati marcati dalla grande amnistia concessa dalla Guida suprema, ayatollah Alì Khamenei, a oltre 50.000 detenuti, che saranno rilasciati entro sei mesi.

Le celebrazioni per i quarant'anni della rivoluzione khomeneista avvengono in un clima di frustrazione

Le celebrazioni avvengono, tuttavia, in un clima di frustrazione dovuto al ritiro americano, deciso nel maggio scorso, dall’accordo sul nucleare, e la conseguente ripresa delle sanzioni economiche contro il Paese. Seppure incalzante, la retorica ufficiale sui vantaggi apportati dalla rivoluzione non ha più lo stesso impatto rispetto a soli dieci anni fa. Il 70 per cento della popolazione iraniana - passata dai 37 milioni del 1979 agli oltre 82,5 milioni oggi – ha conosciuto solo il regime degli ayatollah e non si sente direttamente toccato dai misfatti dello scià. Quelli, invece, che hanno accompagnato i moti rivoluzionari si chiedono dove siano finite le promesse fatte da Khomeini circa un generale benessere grazie una ridistribuzione delle ricchezze del Paese.

Per molti iraniani il regime islamico degli ultimi quarant'anni è altrettanto corrotto e repressivo di quello dello scià Pahlavi

L’impressione di molti iraniani è che a un regime monarchico repressivo e corrotto che, di fronte alla miseria popolare, ostentava la sua opulenza e l’arroganza di un piccolo ceto di privilegiati, sia semplicemente subentrato un regime “islamico” altrettanto repressivo e corrotto da cui traggono vantaggio nuovi cerchi di privilegiati e di parvenus. Anzi, alcuni non esitano a paragonare i poteri conferiti al Valie- fagih (la Guida suprema, ndr) a quelli un vero scià, dal momento che egli controlla l’esercito, i pasdaran, la magistratura, i media statali e la politica estera, lasciando al presidente della Repubblica, eletto dal popolo, un piccolo margine di manovra nei temi sociali ed economici. Detto ciò, non si può non vedere l’enorme balzo in avanti compiuto dall’Iran in questi quattro decenni in diversi settori.

Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha stilato, pochi giorni fa, in un discorso altamente celebrativo della rivoluzione khomeinista, un lungo elenco delle conquiste realizzate «dallo Stato della Guida Suprema » a livello della cultura e dell’editoria, della lotta all’analfabetismo (quasi del tutto eliminato), del numero di università e della popolazione universitaria (soprattutto femminile), della ricerca scientifica e tecnologica, della medicina e della produzione farmaceutica, dei trasporti, dell’aeronautica civile, fino alla produzione delle armi. Nessun accenno di Nasrallah, però, all’inflazione galoppante o al preoccupante tasso di disoccupazione, in particolare tra i giovani. E tantomeno alle gravi mancanze dell’Iran a livello delle libertà pubbliche. La rivoluzione contro lo scià esprimeva, almeno ai suoi esordi, la rivendicazione da parte degli intellettuali, degli studenti e dei ceti urbani medi, di riforme sociali e di rispetto della libertà di espressione, di pensiero e di associazione previste nella Costituzione. Obbiettivi, questi, che l’appropriamento della rivoluzione da parte degli ayatollah ha soffocato sul nascere. Oggi, il bilancio sulle violazioni dei diritti umani in Iran resta drammatico e preoccupante.

L'Iran continua ad essere una delle peggiori prigioni per giornalisti, artisti, avvocati, sindacalisti e studenti

La Repubblica islamica continua a essere una delle peggiori prigioni al mondo per giornalisti, difensori dei diritti umani, artisti, avvocati, sindacalisti e studenti. Oltre a conservare il terribile primato, secondo solo alla Cina, di Paese con maggior numero di esecuzioni capitali: 993 nel 2017, 1.032 nel 2016, 1.634 nel 2016. Per il periodo 2005-2018, Amnesty International ha denunciato 87 esecuzioni di rei minorenni e identificato almeno 80 minorenni al momento del reato in attesa dell’esecuzione. In crescita anche l’influenza di Teheran nella regione. Il ruolo di “gendarme del Golfo” che lo scià giocava per conto di Washington è mutato nel corso degli anni fino a diventare oggi, grazie ai pasdaran e al generale Qassem Suleimani, quello di protagonista principale, dall’Iraq alla Siria e dallo Yemen al Libano. L’Iran può anche pretendere di “possedere” frontiere comuni con Israele, che non lesina occasione per attaccarlo in territorio siriano. «Espansionismo sciita» o mera strategia difensiva, non è chiaro. Di sicuro, questo “compito” non infervora particolarmente le masse iraniane, preoccupate più che altro per la caduta libera della moneta locale. Alle manifestazioni dell’anno scorso uno degli slogan più gridati era «né per Gaza, né per il Libano; noi vogliamo morire solo per l’Iran». Il “nuovo scià” saprà ascoltarli, prima che sia troppo tardi? © RIPRODUZIONE RISERVATA

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