Non solo Nigeria: dal Sahel al Lago Ciad e alla Somalia, la mappa del jihadismo africano

Sfuggente, enigmatico e sempre più pan-regionale: il jihadismo sahelo-sahariano protende i tentacoli verso il Golfo di Guinea. Quali sono i Paesi coinvolti
December 26, 2025
Non solo Nigeria: dal Sahel al Lago Ciad e alla Somalia, la mappa del jihadismo africano
Gli abitanti del villaggio di Jabo Garim Maigari osservano gli effetti dei raid americani contro i jihadisti/ REUTERS
Sfuggente, enigmatico e sempre più pan-regionale: protende i tentacoli verso il Golfo di Guinea il jihadismo sahelo-sahariano. Il Jnim qaedista ha sferrato il primo colpo in Nigeria, lo scorso ottobre, e un terrorismo antinomico ai confini statuali è stato letale anche in Benin e in Togo, or non è molto, in Paesi permeabili attraverso limes ubertosi di foreste. Sul lago Ciad, crocevia di frontiere disegnate a tavolino, la geografia favorisce il jihad. Boko Haram, forte di una intelligence tentacolare, ha per santuario i monti Mandara, una catena vulcanica che si fa beffe dei tracciati, come l’immensa foresta di Sambisa, che facilita l’occultamento e i colpi di mano pluridirezionali. Etnicamente siamo in terre affini. Terrorismo, racket, banditismo e povertà contagiano pure parti del Camerun, Paese infausto nel condividere 2.100 chilometri di frontiere con il nord nigeriano, hub jihadista e di disegni secessionisti. Da queste parti il califfato islamico è un ricorso storico, già santuario d’antan dei jihadisti di Sokoto. Tempo addietro, era stato l’ufficio delle Nazioni Unite per l’Africa occidentale e il Sahel ad allertare su una «possibile convergenza fra gruppi jihadisti regionali», con movimenti facilitati attraverso le frontiere burkinabé, nigerine e il sud maliano, quasi a saldare uno spazio di violenza interconnesso fra il Mali e la Nigeria occidentale, insidiante da ultimo lembi di Senegal. Già nel 2018, il comandante della katiba Macina maliana, Hamadou Koufa, aveva lanciato il suo appello ai fulani, specie quelli ghaniani, a sposare il jihad. E da snodo di transito, il Ghana si sta rivelando un microbacino di reclutamento jihadista. Quattro anni fa, vi era stimato un nucleo esordiente di 200 reclute del Jnim e dello Stato islamico nel Grande Sahara.
In affanno, i governi di Abuja e Abidjan hanno invocato supporto d'intelligence franco-statunitense, specie ai confini con Niger e Burkina Faso, sfuggente per il 60% al controllo centrale, i cui santuari di legalità si sono ristretti a un pugno di centri: Ouagadougou, motore economico di Bobo-Dioulasso e poche altre città, che gli insorti non puntano a ghermire, mancando di forze. Interessano loro piuttosto i traffici dell’economia eslege, i tributi, le risorse naturali e gli spazi transfrontalieri, oltre che le vie carovaniere, come quelle sempre più isolate e impercorribili verso Bamako, ridotta a un fortino asserragliato. Nel 2012, operava in Mali un solo gruppo jihadista, più di un ventennio dopo se ne contano oltre una decina, fra il Sahel e l’Africa d'occaso, terre di jihad anche nel XVIII e nel XIX secolo, la cui eco è amplificata oggi dalla pervasività dei media, dalla povertà endemica e dal deficit democratico, fra risorse mancanti, confini traballanti, alterazioni climatiche e faglie interetniche all’apparenza irriducibili.
Sullo sfondo, incombe torva l'ombra di potenze straniere, grandi, medie e ascendenti, spesso fra loro confliggenti per trame geopolitiche. Sono ambiziosi i jihadisti del XXI secolo africano: da un ventennio circa hanno fatto del continente nero un trampolino di lancio di neo-afflati califfali, affossandone aree in abissi del salafismo mondiale, con un picco di violenze, diversi milioni di sfollati e 18.900 morti nel 2024, nel Sahel (55%), in Somalia (24%) e intorno al Lago Ciad (19%). In questo 2025 che volge al termine hanno rialzato la testa pure gli insorti mozambicani, derelitti a nord dai progetti di sfruttamento petrolifero franco-statunitensi in combutta con Maputo. Con un’offensiva quasi simultanea, i qaedisti somali di al-Shabab hanno azzerato in poco tempo metà delle riconquiste territoriali dei regolari, in un Paese balcanizzato, frammentato nello stesso sentire fra amministrazioni centrifughe e istanze federali. Emergono nuove alleanze nel Mar Rosso, fra gli zaiditi yemeniti Houthi e gli al-Shabab, pronti a incamerare armi iraniane più avanzate delle loro, apprenderne l’uso e scambiare visite ufficiali. Crescono quasi ovunque le capacità tecnologiche dei jihadisti, accessibili per tasche e foriere di un quid pluris di mezzi, spesso volanti, per selezionare e colpire civili indifesi o posizioni militari più ghiotte. Lo si è visto in Nigeria, in Mali centrale, nel Cabo Delgado e in Somalia, con azioni più sofisticate e letali. Sciamano le unità motorizzate jihadiste; evitano le concentrazioni prolungate e hanno appresso a diradarsi una volta terminate le incursioni. I loro campi base sono occultati nella vegetazione e gli elementi mobili manovrano in moto furtive a confermare la strada impervia della contro-insurrezione, specie se circoscritta a una prevalenza di misure draconiane.

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