venerdì 18 ottobre 2019
La riforma annunciata, dopo le polemiche sui Mondiali di calcio, riguarda 2 milioni di stranieri, due terzi della popolazione. Regna la cautela, ma si introdurrà anche il salario minimo
Ansa/Ap

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Per i due milioni di lavoratori stranieri del piccolo ma potente Qatar (che conta a malapena 3 milioni di abitanti), quella annunciata nelle ultime ore rappresenterebbe una svolta: potrebbe non essere più necessario richiedere al datore di lavoro il permesso per cambiare occupazione o per allontanarsi dal territorio nazionale, cioè potrebbero venire meno i vincoli di quella che oggi si configura come una vera e propria forma di schiavitù moderna, il cosiddetto sistema della kafala.

Si tratta di un sistema di sponsorizzazione del lavoro che prevede una dipendenza strettissima tra il lavoratore migrante (di solito da India, Filippine, Bangladesh, Nepal) e l’azienda che lo ha assunto. Due giorni fa, il Consiglio dei ministri dello Stato del Qatar ha annunciato di avere approvato all’unanimità nuovi provvedimenti di legge che, al termine dell’iter previsto, consentirebbero ai dipendenti stranieri di cambiare liberamente il proprio datore di lavoro (mentre ora serve una sorta di nulla osta) e di non rimanere assoggettati ai requisiti necessari per ottenere l’autorizzazione a lasciare il Paese.

Terza – rilevante – novità, è stata approvata una nuova legge che dovrebbe aprire la strada all’istituzione di un salario minimo non discriminatorio per nazionalità, il primo del genere in Medio Oriente. I progetti di legge dovranno passare al vaglio del Consiglio consultivo (Shura) ed essere approvati dall’emiro Sheikh Tamim Bin Hamad al-Thani, per entrare in vigore entro gennaio del 2020.

La cautela, tuttavia, è d’obbligo: «Se attuata per intero, (l’intenzione del governo) segnerà un significativo passo in avanti verso la riforma del sistema di sfruttamento della Kafala – spiega ad Avvenire Hiba Zayadin, ricercatrice per Human Rights Watch –. Tuttavia, per il suo completo smantellamento le autorità avranno bisogno di garantire che lo status giuridico del lavoratore migrante (il suo ingresso e la residenza) non sia legato a un datore di lavoro specifico e sarà necessario depenalizzare il cosiddetto “atto di fuga”. Fino a quando tali riforme non verranno attuate, il datore di lavoro continuerà a esercitare un potere eccessivo sul lavoratore migrante».

Il Qatar, che pure è membro dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) dal 1972 e ha ratificato sei convenzioni sul tema, è stata messa sotto stretta osservazione da quando si è aggiudicata l’opportunità di ospitare i Mondiali di calcio 2022. Nel 2017 ha avviato con l’Ilo un programma triennale di cooperazione tecnica per attuare ampie riforme del lavoro. Proprio perché il sistema della kafala «imponeva condizioni di lavoro dure particolarmente per gli immigrati», come ha scritto ieri in un tweet l’ambasciatore italiano a Doha, Pasquale Salzano, la riforma in corso va salutata come «una pietra miliare storica per i diritti dei lavoratori».

«È ragionevole essere ottimisti, ma su una questione come questa è sano anche essere scettici, perché nessuno ha visto il testo del progetto di legge», ha detto invece Nicholas McGeehan, ricercatore e attivista per la difesa dei diritti dei lavoratori migranti nel Golfo. Commentando su Twitter la notizia, ha ricordato di quando un annuncio simile venne rilanciato dalla stampa internazionale: era il dicembre 2016 e si dava per certa la fine del sistema della kafala. Poi le cose andarono diversamente. Se questa sarà la volta buona, resta da vedere.

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