lunedì 3 gennaio 2011
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La strage di Alessandria d’Egitto gonfia il fiume di sangue alimentato dall’odio contro i cristiani nell’anno appena trascorso. Segnando l’inizio del 2011 con lo stesso, implacabile cinismo di un tiro al bersaglio condotto sotto gli occhi distratti e indifferenti dei grandi del mondo. Colpi veri, confusi coi milioni di falsi che nelle stesse ore salutavano l’arrivo del nuovo anno, quasi ad aumentare la distanza tra la realtà di una tragedia che pare ormai infinita e la finzione di chi si ostina a non vedere. Troppi brindano all’anno che viene senza far caso alle macchioline di sangue schizzate anche sui loro bicchieri. Che sia un anno felice. Non lo sarà per tutti.Natale e Capodanno non hanno rallentato gli assassini. Con asciutto realismo, si potrebbe dire che hanno solo facilitato loro il compito, lasciando l’imbarazzo della scelta tra migliaia di bersagli inermi. E nel contrasto raggelante tra la tragedia e la festa, si raggrumano i due «estremi negativi» della sfida «drammaticamente urgente» della libertà religiosa, così come Benedetto XVI ce l’ha riproposta nella Giornata Mondiale per la pace: da una parte il fondamentalismo, che la religione vorrebbe imporla con la forza, dall’altra il laicismo, che al contrario vorrebbe «in modo spesso subdolo» emarginarla, e ridurla a fatto privato e minimale.Avrebbe potuto essere facile, e perfino "produttivo" – nel senso attribuito a questo termine dalle moderne leggi del marketing – sfruttare opportunisticamente le ripetute uccisioni dei cristiani. Insistere solo e soltanto sul dato di un cristianesimo assediato e mistificato, continuamente minacciato da un odio tanto più feroce quanto più incapace di svuotare le Chiese perseguitate e di tappare le bocche ai pastori. Cristianofobia, l’hanno chiamata: termine entrato proprio alla vigilia di Natale anche nel lessico di Papa Ratzinger. Che dunque non ignora che questa drammatica realtà esiste. Ma sa che è parte – certo, enorme – della stessa sfida, figlia di quegli stessi «estremi negativi».Tanto più allora suona profetico, in questi momenti, l’annuncio di Benedetto XVI di volersi ritrovare il prossimo ottobre ad Assisi, a venticinque anni dalla prima convocazione da parte di Giovanni Paolo II, con i leader di tutte le religioni per «rinnovare solennemente l’impegno dei credenti a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace». È la contro-sfida lanciata da un lato ai seminatori di odio e di indifferenza, dall’altro ai luoghi comuni e alle troppe ignoranze, nella certezza che «chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace», e che «chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio».È il rovesciamento del fronte. La risposta a chi abusa del nome di Dio per ragioni che nulla hanno a che fare con Dio, per umiliare, discriminare, uccidere. La risposta a chi pensa che un pater, ave, gloria tra le mura di casa lo si possa – e magari, perché no, lo si debba – tollerare, ma che un crocefisso esposto sia un’offesa. «Estremi negativi» di una stessa visione della convivenza che, mentre rifiuta la piena e vera espressione della libertà personale, di cui quella religiosa è il fondamento, nega la possibilità stessa del con-vivere, che nella ricchezza data dalle diversità ha costruito nei secoli la civiltà. Condannando la società che vorrebbe difendere a chiudersi in se stessa e, dunque, a morire.Tornando nel 1993 ad Assisi, per pregare con i capi religiosi per la pace nei Balcani, Giovanni Paolo II, ricordando il precedente del 1986, invitò a affidarsi ancora una volta «al Signore della storia, il quale ci ha dato dei segni, anche tangibili, di averci ascoltato». È con questo stesso spirito che Benedetto XVI tornerà ad Assisi. Certo che, ancora una volta, il Signore ascolterà.
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