mercoledì 26 aprile 2023
Dal 2017 i miliziani esigono finanziamenti per il controllo dei confini sottolineando che il Sudan «è area di transito per gli irregolari che vogliono raggiungere l’Europa
I migranti usati per ottenere fondi europei

Reuters

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È il 7 febbraio di quest’anno quando i paramilitari di Rsf inviano un messaggio a Roma e a Bruxelles. I capi dell’autoproclamata Forza di intervento rapido lo fanno esibendo ancora una volta sui social network i volti spaventati di alcune decine di migranti. Sono subsahariani catturati nel deserto. « Il Sudan – scrive Rsf – è un Paese di transito per gli irregolari che vogliono raggiungere l’Europa attraverso il Mar Mediterraneo, favoriti dalla mancanza di moderni sistemi di controllo lungo i confini con l’Egitto, la Libia e il Ciad». La richiesta di equipaggiamento per il controllo dei confini diventa così esplicita e non più sottobanco.

La Rsf, capitanata dal vicepresidente del Consiglio sovrano di transizione Mohamed Hamdan Dagalo, sa infatti che è specialmente l’Italia a voler installare lungo gli invisibili confini di sabbia un sistema di sorveglianza multiruolo. Fermare i migranti prima dell’ingresso in Libia, o riportarli in Sudan proprio dalle regioni meridionali libiche, è perciò il pretesto perfetto per accreditarsi quali interlocutori di riferimento, e intanto drenare risorse e mezzi da usare nel lavoro di gendarmeria frontaliera quanto nei combattimenti interni. La dottrina di Roma, affinata a partire almeno dal 2017, è chiara: sostenere chi si fa carico di contenere i flussi migratori adoperando fondi italiani e di Bruxelles, senza troppo sottilizzare sui diritti umani.

È il “Libyagate” che si ripete più a Sud. Con il risultato di avere legittimato e armato i paramilitari che stanno mettendo sottosopra il Sudan e gettando scompiglio nell’intera regione. In ballo c’è un vecchio progetto “Made in Italy”, il cui valore nel tempo si è più che triplicato. Nel 2009 una delle aziende della ex Finmeccanica (oggi Leonardo) si era aggiudicata l’appalto da 300 milioni per il monitoraggio dei confini libici. Buona parte dei fondi li avrebbe messi a disposizione l’Unione Europea.

Ma la rivoluzione contro Gheddafi mandò tutto per aria. Provarono a vendere il progetto anche ad Assad, in Siria, ma la guerra nel frattempo scoppiata anche lì spense la trattativa. Una porzione di quel vecchio piano è stata messa in prova nel Niger, attraverso compagnie private che mettono a disposizione uomini e mezzi aerei: se qualcosa va storto o qualcuno commette crimini, gli Stati potranno scaricare le colpe sui mercenari. In Sudan il lavoro sporco è stato appaltato proprio a Rsf che non di rado viene ammessa all’interno del territorio libico, da dove vengono operate le espulsioni di massa dei migranti. Nei giorni scorsi era stato il segretario generale dell’Onu a denunciare i respingimenti nel deserto, di comune accordo tra milizie libiche e paramilitari sudanesi. « Il 31 dicembre, il Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale di Kufrah (nel Sud della Libia, ndr) ha espulso più di 400 migranti e richiedenti asilo - ha scritto Guterres la settimana scorsa -, tra cui donne e bambini, principalmente provenienti dal Ciad e dal Sudan, la maggior parte dei quali espulsi verso il Sudan».

Le agenzie Onu avrebbero voluto visitare i migranti e intervistarli, ma «alle organizzazioni internazionali non è stato concesso l'accesso». Tuttavia grazie a contatti locali e testimonianze raccolte dopo la deportazione è stato possibile accertare che prima dell’espulsione i migranti sono stati sottoposti «a traffico di esseri umani, torture, violenze sessuali e di genere, estorsioni». A molti non viene data scelta. Diventano schiavi delle milizie. Vite a perdere da dare in pasto all’artiglieria. Già nel 2018 un report del “Clingendael”, l’istituto olandese per la formazione nelle relazioni internazionali, aveva accusato Bruxelles di avere fornito indirettamente agli ex janjaweed oltre 160 milioni di euro per rafforzare i gruppi armati confluiti nella Forza di reazione rapida (Rsf ). Tra loro diversi comandanti acusati di crimini di guerra e genocidio nella regione sudanese del Darfur. Un gruppo di attivisti per i diritti umani sudanesi ed eritrei ha scritto a Bruxelles.

«L'Unione europea e i suoi Stati membri - è l’accusa hanno esternalizzato la politica migratoria attraverso la cooperazione diretta e indiretta con regimi e milizie del tutto irresponsabili». Nei mesi scorsi sono stati segnalati, e mai smentiti, alcuni viaggi di ufficiali dell’intelligence italiana in Sudan. Giunti a bordo di aerei dei Servizi segreti, avrebbero trattato con Dagalo e i suoi emissari. Poco dopo analoghi colloqui sono stati segnalati tra Rsf e inviati del Wagner group, l’esercito privato russo a disposizione del Cremlino, i cui aerei Ilyushin fanno la spola tra la base dell’esercito russo in Siria, a Latakia, e il confine sud tra Libia e Sudan. Con il risultato che in Ucraina Italia e Ue sostengono la resistenza contro la Russia e i mercenari Wagner, ma in Sudan, nel nome del respingimento dei migranti, si ritrovano dalla stessa parte.

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