
Il chirurgo catanese Luigi Sportelli
La decisione di sospendere le attività non è stata presa a cuor leggero. Ma il conflitto tra le diverse e feroci bande criminali e le forze dell’ordine era arrivato troppo vicino alle strutture e il rischio era diventato maggiore dei benefici. Il dottor Luigi Sportelli era lì, quando al di là delle finestre del Centro di emergenza di Turgeau, nel centro della capitale Port-au-Prince, si udivano proiettili vaganti conficcarsi sui muri. Era lì il 15 marzo 2025, quando un convoglio medico che dal Centro di Turgeau si dirigeva all’ospedale di Carrefour è stato preso di mira da 15 colpi e miracolosamente nessuno si è fatto male. Ed era lì, quanto, pochi giorni dopo, mentre i pazienti continuavano ad arrivare sempre più numerosi, nonostante la popolazione per la maggior parte fosse scappata da quell’area, la direzione di Medici senza frontiere ha preso la sofferta decisione di evacuare i due ospedali e sospenderne le attività per alcuni mesi. Nell’isola caraibica il dottor Sportelli è arrivato una prima volta nel gennaio 2023, due anni dopo un altro terremoto dopo quello del 2010 che ha dato il colpo di grazia al Paese, e durante una epidemia di colera. Poi è tornato per una missione più lunga, con il ruolo di vice coordinatore medico di tre progetti di Medici senza frontiere.

Una missione che è terminata negli stessi giorni in cui, a inizio aprile, è arrivata la decisione di sospendere le attività di due dei tre centri – il pronto soccorso di Turgeau e l’ospedale di Carrefour – per l’insicurezza causata dagli scontri armati tra bande rivali e quel che resta delle forze di sicurezza. «La capitale di Haiti non esiste più – racconta Sportelli dalla Sicilia, dove si sta preparando a ripartire, con destinazione Nigeria, e poi Sud Sudan –; il comune di Port au Prince è una città fantasma, quasi completamente controllata da gruppi armati. La popolazione è fuggita per rifugiarsi in altre zone più sicure». Al pronto soccorso di Turgeau si curavano i traumi violenti, polmoniti acute, malattie croniche trascurate. La degenza era al massimo di 48 ore, poi in caso di necessità i pazienti venivano trasferiti altrove per proseguire le cure. Oggi nel comune di Port-au-Prince, spiega il dottore, non esistono più strutture mediche, nemmeno quelle pubbliche. Le pochissime che restano sono decimate. «È vero, gran parte della popolazione è fuggita, ma la totale assenza di strutture sanitarie è un grave problema per la popolazione che ormai è stremata sia dalla violenza sia dalla situazione alimentare e sanitaria. Senza tener conto dell’impatto sulla salute mentale».
Finché le condizioni erano accettabili il contributo di Medici senza frontiere era molto importante e la popolazione apprezzava il lavoro dei sanitari, soprattutto in considerazione del fatto che molte altre organizzazioni hanno ridotto la presenza sia per l’eccessiva violenza sia per i tagli ai fondi americani per la cooperazione.
«È stato difficile lasciare i colleghi locali, che devono continuare a vivere questa realtà. Quando a marzo, dopo la sospensione delle attività, ho terminato la mia missione, hanno preparato una torta, mi hanno voluto ringraziare. Pensare a loro mi lascia il segno. Mi consola il ricordo dei momenti belli, ad esempio quando siamo riusciti a trasferire un bambino con malformazioni dal sud del Paese fino a un ospedale universitario, attraverso vari blocchi stradali, dove lo hanno operato e salvato». Il dottor Sportelli ha vissuto in tanti Paesi in guerra, dal Congo alla Repubblica Centrafricana, fino al Darfour, ma «il tipo e il livello di violenza che ho visto ad Haiti non l’ho visto da nessuna parte. Mi ha segnato, così come mi commuove la resilienza di un intero popolo. Se le condizioni di sicurezza lo consentiranno, è necessario che i progetti di Turgeau e Carrefour possano riaprire, visti gli enormi bisogni». Medici senza frontiere nel frattempo continua a gestire l’ospedale traumatologico di Tabarre, uno degli ultimi ancora operativi nella capitale: la struttura lavora ben oltre i propri limiti, con 70 ricoverati nonostante la capacità ufficiale sia di 50 posti letto. «Il numero di feriti gravi è in costante aumento da diverse settimane. Quasi il 40% di loro sono donne e bambini. Ma non riusciamo a ricavare altri spazi, dovremmo spostare i muri. Stiamo allestendo stanze di degenza anche nelle sale riunioni – racconta il dottore Seybou Diarra, coordinatore dell’ospedale di Msf a Tabarre –. I team medici sono esausti e l’intensificazione della violenza nei pressi della struttura rende ancora più difficile il nostro lavoro. Ci troviamo accanto a zone regolarmente attaccate, con un alto rischio di essere colpiti da proiettili vaganti». Ma la missione va avanti.