
Una scuola per piccoli profughi delle gang a Port-au-Prince - Ansa
L’arte e la cultura non possono curare le ferite di Haiti ma, «fanno in modo che il cuore del Paese e dei suoi abitanti continui a battere». Parola della pluripremiata scrittice Yanick Lahens, fondatrice (insieme ad altri)dell’Union des Écrivains Haïtiens impegnata, a Port-au-Prince, nella lotta contro l’analfabetismo e, all’estero, nella promozione della letteratura haitiana. «Le nostre produzioni di scrittura, musica e pittura, solo per citarne alcune, sono ricche e pazienti – insiste –. Nel teatro del caos c’è posto pure per la poesia».
Quindi il clima di violenza non influenza la creativà?
No, è inevitabile che l’insicurezza la condizioni. In particolare, limita la fruizione delle opere che vengono prodotte. Limite che, però, le nuove tecnologie possono aiutare a superare. Quello che intendo dire è che la creatività haitiana rende la violenza quasi sofisticata. C’è una fondazione che promuove la musica classica, anche in posti molto piccoli, fuori dai centri abitati. Nelle zone rurali dell’isola è facile imbattersi in giovani e bambini che suonano il violino o il pianoforte.
In un saggio del 2021, “Esilio: tra fuga e ancoraggio”, lei spiega che la letteratura haitiana è sempre stata caratterizzata dall’amletico slancio: partire o rimanere sull’isola. Quale prevale adesso?
Nessuno dei due. Questo doppio sentimento è ciò che caratterizza il nostro popolo da sempre e continua ancora a farlo. L’attrazione per il mondo occidentale, tipica in particolare, oggi, degli artisti che desiderano essere conosciuti e apprezzati per il proprio talento, fa sempre il paio con quella a rimanere radicati nella propria terra. É un’ambivalenza quasi genetica come lo slancio rivoluzionario delle origini che la maggior parte dell’opinione pubblica internazionale ignora.
Perché il mondo non conosce l’identità dell’isola?
Io penso che nei secoli abbia prevalso la volontà di cancellare l’impresa compiuta da Haiti per l’indipendenza, di sottrarla alla conoscenza dell'umanità relegandola all’oblio. Troppo scomoda perché metteva in discussione l’ordine mondiale legato al colonialismo. Il vero e proprio movimento che mira a cancellare la memoria della rivoluzione haitiana è, oggi, forse pure più forte di qualche tempo fa. Pensiamo alla questione del doppio debito che grava sulla nazione dall’emancipazione dalla schiavitù: c’è difficoltà persino a nominarlo. Si dice che la Francia dovrebbe “riparare” un torto. Non restituire il denaro ingiustamente estorto. Noi intellettuali siamo la forza tranquilla che continua, e continuerà, a chiamare le cose con il proprio nome dando voce all’anima del Paese.
Cosa Haiti ha da dire al mondo?
L’umanesimo haitiano da cui nel 1804 è nata la rivendicazione di uguaglianza e libertà, per l’isola e per l’umanità, continua a raccontare al mondo che ci sono forme di modernità che non sono universali. Che ognuna è figlia della propria cultura e della propria terra. Haiti ha un modo suo di intendere il lavoro, l’agricoltura e persino l’ecologia. Non dimentichiamo che gli haitiani sono riusciti ad ottenere il riconoscimento del creolo come lingua ufficiale, al posto del francese, solo recentemente (ndr, tra gli anni ‘60 e ‘80).
Secondo lei qual è la soluzione per assicurare ad Haiti un futuro migliore?
Bisogna lavorare per dare ad Haiti istituzioni solide capaci di reggere alla pressione della corruzione e delle mafie caraibiche che, geograficamente, fanno dell’isola un crocevia di traffici illeciti come quello delle armi.
È ottimista sugli esiti?
Sono sempre stata una cosiddetta “pessimista attiva”, e continuo ad esserlo. L’iniziativa, di qualunque tipo si tratti, prima o poi, capitalizza risultati.
Un gesto per i Figli di Haiti: aiuta ad andare a scuola i bimbi della Maison des Anges, l’orfanotrofio sfollato
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Causale: Figli di Haiti
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