.jpg?width=1024)
Il volto dell'ex ostaggio israelo-americano Edan Alexander sul maxischermo davanti alla base militare Kirya a Tel Aviv - Ansa
L’accordo a orologeria ha preceduto Trump di una giornata. Com’era avvenuto per la tregua, scattata a Gaza il 19 gennaio alla vigilia del suo insediamento alla Casa Bianca. Poco dopo il decollo dell’Air Force One alla volta del Golfo, lunedì sera a nord di Khan Yunis è stato rilasciato il soldato israelo-americano Edan Alexander in seguito a un accordo fra Hamas e Stati Uniti. È il primo militare, maschio e in vita, rapito il 7 ottobre 2023 ad essere liberato. Consegnato alla Croce Rossa senza cerimonie, il 21enne è stato condotto nella base militare di Reim, in territorio israeliano, per un primo check-up fisico e psicologico. Lì ha incontrato i familiari arrivati dagli Usa. Poi è stato trasferito all’ospedale Sourasky di Tel Aviv. Sarebbe stato torturato. Se le sue condizioni mediche lo consentiranno, la famiglia ha annunciato che dovrebbe volare a Doha per incontrare Trump. Trofeo esibito a prova del successo americano. Dalla trattativa è stato infatti escluso Israele, al quale è stato chiesto solo di fermare gli attacchi per il tempo e lo spazio necessari alla liberazione. Dopo il rilascio, Hamas ha dichiarato: «Confermiamo la volontà di avviare immediatamente i negoziati per raggiungere un accordo globale per un cessate il fuoco duraturo e invitiamo l’Amministrazione Trump a proseguire i suoi sforzi per porre fine alla guerra».
Martedì mattina Donald Trump arriverà in Arabia Saudita, prima tappa del viaggio che mercoledì e giovedì toccherà Qatar ed Emirati Arabi ma non Israele. Stando ai media siriani, che confermano indiscrezioni circolate nei giorni scorsi, a Riad il presidente americano dovrebbe incontrare il principe ereditario Muhammad bin Salman e, con lui, il presidente libanese Joseph Aoun, quello dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen e il presidente siriano Ahmad al-Sharaa (l’ex jihadista al-Jolani). Due presenze, queste ultime, che non fanno certo il gioco di Israele. Negli ultimi tempi, tira una brutta aria nei rapporti fra Washington e Tel Aviv. Il rilascio dell’ostaggio americano non aiuterà a rasserenarla. Il ministro dell’Agricoltura, Avi Dichter, sulla tv pubblica Kan ha polemizzato:«Non siamo la 51esima stella sulla bandiera (degli Usa, ndr). Gli obiettivi della guerra non sono cambiati». Il premier Benjamin Netanyahu ha annunciato «un’intensificazione dei combattimenti». Ma ha anche fatto partire una delegazione per Doha. L’inviato della Casa Bianca per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che ha condotto i colloqui per il rilascio del soldato, l'ha incontrato a Tel Aviv. Al termine del faccia a faccia, c’è stata una telefonata fra Netanyahu e Trump: il primo ha ringraziato «per l’assistenza nella liberazione del soldato», il secondo ha ribadito il desiderio di collaborare.
Non è la prima volta che Washington si confronta direttamente con Hamas escludendo Israele: già nei mesi scorsi l’inviato Usa per gli ostaggi, Adam Boehler, aveva trattato a Doha per liberare il rapito americano. Ora sul tavolo dei negoziati diretti ci sarebbe un più ampio accordo sugli ostaggi (ne restano 58, di cui 20 in vita) e sulle condizioni per fermare la guerra nella Striscia di Gaza. Nei giorni scorsi Trump aveva creato attesa per un annuncio «storico» sul quale erano circolate indiscrezioni. Fonti di Hamas hanno confermato le voci. Alla tv saudita al-Sharq, un alto funzionario del gruppo ha dichiarato: «Abbiamo proposto ai mediatori un accordo globale con Israele, secondo il quale la Striscia sarà amministrata da un organismo tecnico e indipendente con pieni poteri». L’israeliano Canale 12 rilancia e rincara: «Gli Stati Uniti avrebbero proposto a Hamas un accordo che prevede, al termine del processo, il riconoscimento della partecipazione dell’organizzazione al governo di Gaza». Un’ipotesi, questa, che lascerebbe addirittura al potere membri dell’organizzazione terrorista. «La proposta americana – prosegue Canale 12 – include un piano che inizierebbe con il rilascio di 10 ostaggi in cambio di un periodo della cessazione delle ostilità».
A conferma della scelta di campo degli Usa si registra l’irrigidimento della diplomazia egiziana nei confronti di Tel Aviv. Il Cairo ricopre, assieme a Doha, il ruolo di mediatore nelle trattative indirette con Hamas. Una fonte del ministero degli Esteri egiziano ha detto all’israeliano Ynet che non sarà approvata la concessione delle credenziali al neo nominato ambasciatore israeliano Uri Rotman e che non verrà nominato un nuovo ambasciatore a Tel Aviv. D’altra parte il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Saar, si è affrettato a dichiarare che «Israele sostiene pienamente il piano (umanitario, ndr) dell’Amministrazione Trump» che «consentirà che gli aiuti arrivino direttamente alla popolazione» di Gaza sottraendoli alla gestione di Hamas. L’esercito, ha precisato, «non distribuirà gli aiuti ma controllerà il perimetro». Sul piano umanitario è intervenuto lo stesso presidente, Isaac Herzog, che ha lanciato un appello alla comunità internazionale e alle Ong affinché «collaborino con Israele in questo progetto che tiene fuori Hamas».
Un nuovo rapporto di Global Hunger Monitor denuncia che mezzo milione di persone nell’enclave rischiano la morte per fame. L’analisi si basa su dati raccolti fra il 1° aprile e il 10 maggio e proiettati sullo scenario dei mesi estivi fino a settembre. L’intera popolazione di 2,2 milioni di persone, sostiene il documento, continua a essere esposta al rischio della carestia.