martedì 10 maggio 2022
Ferdinand «Bongbong», il figlio del dittatore cacciato da una rivolta popolare nel 1986, è di trenta punti avanti nello spoglio dei voti delle presidenziali di ieri. Doppiati i numeri della sfidante
Sostenitori di Ferdinand Marcos Jr. in festa ieri a Manila

Sostenitori di Ferdinand Marcos Jr. in festa ieri a Manila - Epa

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La combattuta battaglia elettorale ha portato ieri alle urne la cifra record di 67 milioni e mezzo di filippini per eleggere ben 18.100 personalità. Saranno loro a garantire il funzionamento delle istituzioni e dell’amministrazione a partire dalla carica di senatore a quella di capo villaggio. Il voto ha pure fornito, a poche ore dalla chiusura dei seggi, le indicazioni più attese, quella del presidente che sostituirà dal 30 giugno Rodrigo Duterte e quella del suo vice.

Nella notte, alla sospensione del conteggio delle preferenze facilitato dall’utilizzo complesso e in alcune aree problematico del voto elettronico, con il 90% dei voti scrutinati è apparso netto il vantaggio di Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr, figlio maggiore del presidente Ferdinand Marcos Sr, morto in esilio nel 1989 dopo essere stato esautorato nel febbraio 1986 dalla rivoluzione nonviolenta che mise fine al lungo periodo di legge marziale. Una eredità pesante per “Bongbong”, ma alleggerita dalla riabilitazione del padre sostenuta anche dal presidente uscente, dai legami, clientele e associazioni tra la dinastia Marcos e gruppi di potere politico ed economico che hanno investito nella narrazione «in positivo» della dittatura con la certezza di un ritorno in termini di influenze e di benefici una volta riportato un Marcos al comando. Anche per questo, per molti il voto di lunedì si situa in un contesto cruciale come nel 1986. Come confermato dall’esperto costituzionalista Tony La Viña, «chiunque sarà il vincitore, le Filippine ne usciranno cambiate».

A “Bongbong” Marcos un bilancio parziale e non ancora ufficiale ha assegnato 28,3 milioni di voti, più che doppiando la rivale alla carica Maria Leonor “Leni” Gerona Robredo, vicepresidente uscente, politica liberale, attivista per i diritti umani e avvocatessa che ha avuto 13,5 milioni di preferenze. A condividere, in ruolo subordinato, il potere con Marcos in un 'tandem' discusso in prospettiva democratica, sarà Sara Duterte, che vanta una lunga esperienza amministrativa sotto l’esempio del padre, Rodrigo Duterte, noto e spesso criticato all’interno e all’estero per il piglio autoritario, la propensione alla violenza e la «guerra alla droga» costata migliaia di vite che i nuovi presidente e vicepresidente hanno indicato di volere proseguire.

A Sara Duterte sono andati fino alla scorsa notte 28,5 milioni di voti e 8,5 milioni al senatore Francis “Kiko” Pangilinan in corsa per la vicepresidenza in associazione con “Leni” Robredo. A cambiare i pronostici, già negativi per Robredo-Pangilinan alla vigilia del voto nonostante un parziale recupero, non sono bastati l’affluenza elevata ai seggi e la preferenza nei loro confronti dell’elettorato più giovane, oltre che il sostegno di tanti settori della società civile. In un arcipelago di oltre 7.000 isole, la tornata elettorale ha confermato la vivacità e la “tenuta” della democrazia filippina, ma anche la sua forte dipendenza da personalità, slogan e interessi di vari gruppi più che da programmi elettorali. Ancora una volta, inoltre, l’espressione del voto è stata segnata da episodi sanguinosi, con almeno tra guardie dei seggi uccise e una ferita, atti intimidatori e diverse denunce di brogli, a partire dalla mancata consegna di ricevute di voto.

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