venerdì 27 luglio 2018
Il Parlamento ha varato la nuova Carta Costituzionale che prende atto delle mutazioni avvenute e in corso all'interno del regime e tra la popolazione
L'isola che cambia: l'étoile del Balletto nazionale di Cuba, Daniela Gomez Perez, davanti al Campidoglio all'Avana (Ansa)

L'isola che cambia: l'étoile del Balletto nazionale di Cuba, Daniela Gomez Perez, davanti al Campidoglio all'Avana (Ansa)

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L’ajiaco è considerato il piatto nazionale cubano. È una zuppa a base di patate, banane, mais, manzo, pollo e carne secca, ma come accade in ogni ricetta popolare ciascuno ci mette tutti gli ingredienti che può. La nuova Costituzione che il Parlamento ha approvato qualche giorno fa sembra una perfetta allegoria di quella minestra in cui può starci di tutto. L’amalgama semantico che occhieggia nei 224 articoli ha qualcosa di gioiosamente vernacolare: scompare il comunismo come ultima meta – fino a ieri qualcosa di simile alla sharia, che i salafiti considerano la suprema istanza del diritto – essendo decaduto l’articolo 5 della Costituzione del 1976 che predicava «la costruzione del socialismo e l’avanzamento verso la società comunista», ma permane il socialismo come linea-guida e fondamento morale della nazione, anche se ora fa capolino la proprietà privata.

Così ha voluto l’hombre nuevo Miguel Díaz-Canel, il cinquantasettenne ingegnere che nell’aprile scorso ha formalmente preso il posto di Raúl Castro alla presidenza della Repubblica. Occasione in cui non mancò di proclamare la continuità con la Revolución, perché – scandì di fronte ai seicentocinque deputati dell’Asamblea Nacional del Poder Popular – «solo il Partito comunista può garantire la sicurezza e il benessere del popolo cubano». Il che già pone un piccolo ma imbarazzante problema: come faranno i piccoli pioneros, tutti quei bambini che prima delle lezioni scolastiche salutano la bandiera cantando: «Pioneros por el comunismo, seremos como el Che»?
Cambieranno lo slogan? Lo manterranno facendo finta di nulla? E il comunismo, poi, davvero basterà farlo scomparire dalla Costituzione? E che fine faranno lo statalismo socialista caro a Fidel e il capitalismo comunista di ispirazione vietnamita accanitamente perseguito da Raúl? Non per nulla l’ottantasettenne fratello del líder maximo rimarrà segretario del partito fino al 2021, quando compirà novant’anni, e anche l’occhiuta polizia che da sempre si occupa della sicurezza dello Stato e insieme della repressione dei dissidenti rimarrà saldamente in mano al clan dei Castro.


«Per quanto siano grandi le sfide – ha sottolineato Raúl nel sessantacinquesimo anniversario dell’assalto alla caserma Moncada – la nostra gente difenderà la sua rivoluzione socialista». Al di là dei bisticci semantici, c’è molta confusione sotto i cieli di Cuba. La gloriosa rivoluzione è ormai un ricordo e la modernità – il suo simulacro, per lo meno – ghermisce da vicino il suo popolo orgoglioso e tenace. Peccato che non disponga di governanti e leader all’altezza di quelle sfide, ma solo una gerontocrazia impaurita e piena di pregiudizi. Insomma, il sospetto che nell’ajiaco costituzionale finisca per prevalere una sapiente cosmesi per cambiare tutto affinché nulla cambi davvero resta intatto.

Ma, si dirà, non è di per sé rivoluzionario il riconoscimento della proprietà privata? In teoria sì, anche se non è una novità: da oltre trent’anni Cuba si arrangia come può trafficando e vendendo piccoli servigi al turismo internazionale. Ora però – sulla carta – si potrà possedere un appartamento, un terreno, divenire un vero cuentapropista (letteralmente: «Persona que, sin ser comerciante o profesional, vive de su propio negocio») e anche le imprese straniere potranno a certe condizioni investire nell’isola. Anche se – Díaz-Canel si è premurato di metterlo subito in chiaro – «non c’è nessuno spazio a Cuba per una restaurazione capitalista». I cubani saranno chiamati nelle prossime settimane ad approvare il nuovo corso con un referendum, che si preannuncia plebiscitario. Sullo sfondo dei grandi cambiamenti che si intravedono si allarga benevola l’ala materna del Partito comunista, che rimarrà a presidiare la società e la nazione. In fondo è l’ingrediente principale dell'ajiaco cubano: senza di esso se ne perderebbe senz’altro il sapore autentico.

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