martedì 4 maggio 2021
Lo scontro elettorale rafforza gli estremi. Il Pp si sbarazza dell’alleato centrista Ciudadanos ma rischia di finire ostaggio della destra
Vincitrice. Isabel Diaz Ayuso confermata alla guida della Regione di Madrid, ma dovrà trattare con i neofranchisti di Vox

Vincitrice. Isabel Diaz Ayuso confermata alla guida della Regione di Madrid, ma dovrà trattare con i neofranchisti di Vox - Reuters

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Doveva essere un decisivo banco di prova per la governatrice di Madrid Isabel Diaz Ayuso, che si è sottoposta a plebiscito sotto la bandiera dell’anti-lockdown e dell’anti-sanchismo, contro la gestione del premier Pedro Sánchez. E plebiscito è stato, con una partecipazione record superiore al 70 per cento in tempo di pandemia.

Le urne hanno confermato alla “zarina” dei popolari il mandato per i prossimi due anni, nella regione da un quarto di secolo feudo dal partito conservatore. In chiave nazionale, un test cruciale per il governo progressista di Pedro Sánchez – e per il socio ex vicepremier Pablo Iglesias, sceso in campo per salvare Podemos nella regione – poiché riattiva la “reconquista” della Moncloa da parte del centro-destra.

Il Pp, che si giocava tutto con la decisione tattica della Ayuso di liberarsi dell’alleato centrista Ciudadanos (Cs) e anticipare le elezioni, ha superato la prova. Secondo il sondaggio di Gad 3, con 62/65 seggi (sui 69 della maggioranza nell’assemblea) raddoppia il 22 per cento ottenuto nel 2019. E ingloba la gran parte dei 26 scranni detenuti da Cs, che nonostante la “remontada” di Edmundo Bal, da terza forza politica viene espulsa dal Parlamento regionale e riassorbita dalla “casa madre”.

Il risultato insufficiente ipoteca la Ayuso alla volontà di Vox. Il partito neofranchista con Rocío Monasterio conferma 12/14 seggi (9,2 per cento) ora però decisivi per il governo dell’autonomia. E non si limiterà più a sostenerlo dall’esterno, come già in Andalusia, Murcia e nel Comune di Madrid, ma potrebbe esigere di entrare per la prima volta in un esecutivo regionale.

L’aspra battaglia per il cuore della Spagna, declinata nella contrapposizione fra «comunismo o libertà», agitata dalle destre, versus «democrazia o fascismo» , invocata dalle sinistre, non ha travasato voti fra i due blocchi, bensì rafforzato gli estremi. Podemos, con Pablo Iglesias passa da 7 a 10/11 seggi (8,2 per cento). Ma a scapito dei socialisti, che vinsero le elezioni due anni fa, ma non poterono governare perché il centro-destra ottenne la maggioranza assoluta. Il rettore ed ex ministro di Educazione, Ángel Gabilondo, dal 27,3 per cento scivola al 18,4 per cento, incalzato da Mas Madrid, la scissione critica di Podemos. Evidente l’effetto del “voto rifugio” a Monica García, la candidata medico in prima fila contro i tagli alla sanità, che si consolida oltre il 16 per cento.

Nonostante la mobilitazione nell’ex cinturón rojo, la cintura ex operaia a sud della capitale, e dopo l’escalation di tensione per le minacce a vertici istituzionali, la somma dei tre partiti di sinistra non supera il 42,4 per cento rispetto al 52,9 per cento del centro-destra. Pedro Sánchez, che si è speso in prima persona nella «battaglia di Madrid», salvo poi ritirarsi dopo i sondaggi sfavorevoli, ha contribuito a fare delle elezioni un referendum sul suo esecutivo.

Anche se Mas Madrid come lista civica non drena consensi ai socialisti, lo schieramento di governo è indebolito. Mentre il Pp riesce a tenere testa a Vox, alimentando le speranze di Pablo Casado di riunificare il partito come ai tempi di Aznar.



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