venerdì 4 luglio 2025
Nasrin Sotoudeh, vincitrice del Premio Sakharov. «Dopo la guerra dei 12 giorni, minoranze nel mirino del regime. Io sono ancora minacciata, rischio di tornare in carcere. Ora si dia voce al popolo»
L'attivista iraniana per i diritti umani, Nasrin Sotoudeh, mentre parla con Avvenire in videocollegamento da Teheran

L'attivista iraniana per i diritti umani, Nasrin Sotoudeh, mentre parla con Avvenire in videocollegamento da Teheran - .

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Vincitrice del premio Sakharov del Parlamento Europeo per la libertà di pensiero nel 2012, tra le 100 donne più influenti del mondo per la rivista Times nel 2021, Nasrin Sotoudeh è tra le attiviste per i diritti umani più invise al regime di Teheran. Nata nel 1963, avvocata, ha rappresentato attivisti, giornalisti e politici dell’opposizione iraniana in carcere. Tra le sue assistite molte ragazze arrestate perché non indossavano il velo. Sotoudeh è la protagonista del documentario “Nasrin”, girato clandestinamente nel 2020 in Iran e centrato sul suo lavoro per i diritti delle donne, dei bambini e delle minoranze. Sposata dal 1994 con il collega e compagno di battaglie civili Reza Khandan, è madre di due ragazzi di 26 e 18 anni. Nel 2010 è stata arrestata per la sua collaborazione con il Defenders of Human Right Center, lo stesso in cui lavoravano i due Premi Nobel per la pace iraniani, Shrin Ebadi e Narghes Mohammadi. Per la sua liberazione si è avviata una mobilitazione internazionale. In cella ha intrapreso uno sciopero della fame che l’ha portata al ricovero. Nasrin è tornata in libertà nel 2013. Cinque anni dopo un nuovo arresto, con la condanna a 33 anni di carcere e 148 frustate. Nel 2021 è stata rilasciata per motivi medici, ma nell’ottobre 2023 è stata nuovamente arrestata per aver partecipato ai funerali della 17enne Armita Garawand, picchiata perché senza velo in strada. Dopo un mese è stata posta ai domiciliari.

L’ultima sfida al regime degli ayatollah Nasrin Sotoudeh l’ha lanciata nei giorni scorsi. L’avvocata e attivista per i diritti umani, 62 anni, pur agli arresti domiciliari gode di una parziale libertà di movimento. Così è andata a capo scoperto al carcere di Tehran Bozorg, dove è rinchiuso il marito Reza Khandan, con il quale condivide l’impegno civile, e ha chiesto di recapitare al direttore una lettera in cui chiede la liberazione di tutti i prigionieri politici. In collegamento video da Teheran, Nasrin Sotoudeh risponde alle domande di Avvenire in modo conciso e anche solo accettare un’intervista è un atto di coraggio. Tra le oppositrici al regime iraniano più autorevoli al mondo, l’avvocata ha difeso decine di attivisti tra cui la Premio Nobel per la pace Shrin Ebadi. Lei stessa è stata più volte condannata. La pena più pesante – 33 anni di carcere e 148 frustate - le è stata inflitta nel 2019. L’ultimo arresto, nell’ottobre 2023 per aver partecipato ai funerali della giovane Armita Garawand. Un mese dopo è stata scarcerata su cauzione.

Avvocata Sotoudeh, a che punto è la sua vicenda giudiziaria?
Fino all’anno scorso, ogni 4 o 5 mesi dovevo presentarmi all’ufficio di medicina legale di Teheran per confermare che le mie condizioni di salute non consentissero il ritorno in carcere. L’anno scorso mi hanno comunicato che non sarei mai più tornata in prigione. Nonostante questo, da allora ho ricevuto due lettere che mi intimavano di presentarmi all’istituto di pena. I miei avvocati mi hanno consigliato di non rispondere né tantomeno obbedire. E così ho fatto.

Vive con la paura di essere richiamata?
Sì, è così.

Nei giorni dei bombardamenti israeliani su Teheran, a partire dal 13 giugno, si è mai sentita in pericolo?
Tutti abbiamo avuto molta paura. Le bombe sono cadute anche vicino alla mia abitazione. Gli abitanti di Teheran sono stati invitati ad abbandonare la città, e così ho fatto anch’io. Mia figlia, che studia in Olanda, ha postato una storia su Instagram in cui si chiedeva come avrebbero potuto i prigionieri del carcere di Evin, tra i quali c’è anche suo padre, mettersi al sicuro. Ora siamo tornati nella nostra casa.

È stata felice della notizia del “cessate il fuoco”?
Siamo stati tutti contenti, ma non ci illudiamo. Questa guerra non è finita perché né Israele e Stati Uniti da un parte, né l’Iran dall’altra hanno ottenuto quello che volevano.

Ha mai pensato che la guerra potesse avere un esito diverso per il popolo iraniano?
Non mi aspetto che il cambiamento arrivi con le bombe. E se anche ci fosse, non porterebbe nulla di buono.

Dopo la guerra dei 12 giorni viene documentata una feroce repressione. Chi viene messo nel mirino?
Nel mirino sono finite le minoranze religione come i baháʼí e gli ebrei. In questi giorni è stata emanata una legge che considera un crimine avere un contratto con Starlink. Parliamo di 20mila persone in Iran.

Il famigerato carcere politico di Evin è stato bombardato, l’Iran parla di 71 morti. Qual è secondo lei il significato di questa azione di guerra dell’aviazione israeliana?
L’attacco alla prigione di Evin è stato un atto propagandistico di Israele. Non aveva alcun senso. È stata bombardata anche l’infermeria del carcere. Non si hanno notizie delle persone che erano lì. Come conseguenza, le autorità iraniane hanno deciso di spostare 3mila prigionieri, che sono stati legati a due a due con le catene ai piedi e costretti a stare all’esterno del carcere per 10 ore, quando ancora cadevano le bombe.

Dopo la guerra dei 12 giorni, con il potere indebolito, ci sono spiragli sul fronte della battaglia del movimento Donna Vita Libertà?
Il regime si sta indebolendo da oltre un anno. Sì, penso che sia un buon momento per il movimento Donna Vita Libertà: nonostante la repressione, le sue istanze corrono nella società.

la campagna di Amesty per la libertà di Nasrin Sotoudeh

la campagna di Amesty per la libertà di Nasrin Sotoudeh - ANSA


Suo marito Reza Khandan si trovava nel carcere di Evin, come centinaia di altri leader della resistenza. Che notizie ha di lui?
Anche lui è stato trasferito nel grande carcere di Tehran Bozorg, fuori dalla di recente, mi ha detto che l’acqua che danno in prigione è terribile. Sono anche andata a visitarlo, ma non mi hanno fatto entrare perché non era giorno di visita. Riproverò. Vado in carcere senza velo, a capo scoperto, come ho fatto sempre anche quando andavo ad Evin, e ho chiesto di recapitare una lettera al direttore del carcere.

Cosa c’è scritto nella lettera?
È un appello alla liberazione di tutti i prigionieri politici che sono arrivati a Tehran Bozorg a Evin.

Lei è stata in carcere l’ultima volta per due anni, fino al 2021. Ha ancora contatti con le sue compagne?

Alcune sono tornate libere, altre sono state spostate al carcere a Gharchak. Mi raccontano che in 70 condividono lo spazio assegnato a 20, che l’acqua non è potabile e il caldo terribile. Alcune di loro non hanno più la speranza di uscire.

Ai funerali di Stato di sabato 28 giugno per le vittime dei bombardamenti, a Teheran si è vista la partecipazione di una grande massa di persone. Eppure si dice che il 90% degli iraniani sia ostile al regime degli Ayatollah. Come si spiega?

In piazza forse c’erano 100mila persone. I parenti di primo, secondo e terzo grado dei leader militari uccisi. Gli impiegati statali obbligati a presenziare. Sa quanti sono gli iraniani? 80 milioni. Quanto a quello che desidera il popolo iraniano, la prova si avrebbe con un referendum. Dovrebbe svolgersi oggi, sotto controllo di organizzazioni internazionali. Sarebbe il primo vero passo verso la democrazia: un referendum popolare sul futuro del Paese.

Molti attivisti e attiviste residenti all’estero continuano a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla durezza del regime degli ayatollah. Il popolo iraniano si sente sostenuto?
L’appoggio degli attivisti fuori dell’Iran è fondamentale.

Le manca il suo lavoro di avvocata per i diritti umani, contro la violenza su donne e bambini?
Sì, tantissimo. Ma non sono rimasta senza lavoro. Affianco giovani colleghi impegnati nella difesa dei diritti umani. Così come io ho imparato da colleghe più grandi, come Shrin Ebadi, Mehrangiz Kar, Abdolkarim Lahiji, oggi posso trasmettere il mio impegno ad altri. In questo modo nulla andrà perduto, e anzi, il lavoro continuerà.

Anche suo figlio, ancora minorenne, è sotto processo. Ci può raccontare?
Lui è stato attaccato duramente dalle guardie del carcere di Evin durante una visita a suo padre. Contro mio figlio è stato aperto un fascicolo giudiziario, ma lui continua la sua vita. E, vede, è un ciclo: un tempo ero io quella rinchiusa in prigione e i miei figli e mio marito lottavano per me. Oggi invece succede il contrario: mio marito è in carcere e noi lottiamo per lui. Questa è il trattamento che il nostro governo autoritario riserva a chi vuole vivere con onore la sua vita.

(Ha collaborato Sabri Najafi)

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