Orlov: «chiediamo lo scambio di prigionieri civili per salvar loro la vita»
Il Nobel per la pace: «Il bavaglio a Memorial non riesce a zittirci all'estero: volevano creare una nuova cortina di ferro, ma con le nuove tecnologie comunichiamo quotidianamente con la Russi

Il premio Nobel per la Pace 2022 e co-presidente di Memorial, Oleg Orlov, è stato rilasciato durante lo storico scambio di prigionieri fra Occidente e Russia dell’agosto scorso. Il regime l’ha espulso perché la sua voce disturbava. Un uomo che l’opinione pubblica russa stima per l’impegno per i diritti umani, la ricostruzione della memoria delle repressioni. Nessuno dimentica il suo offrirsi in cambio degli ostaggi durante l’attacco terroristico a Budennovsk. Per aver criticato l'invasione dell'Ucraina è stato condannato a 2 anni e mezzo di carcere. Ieri ha partecipato all’udienza generale di papa Leone XIV ed è in Italia per partecipare ad audizioni parlamentari e incontri.
Come vive l’esilio oggi?
Vivo a Berlino con la mia compagna che mi ha raggiunto dove c’è una grande diaspora russa. Ho ritrovato colleghi, non solo di Memorial e amici tedeschi. A differenza delle diaspore precedenti, le nuove tecnologie consentono di comunicare quotidianamente con parenti e amici in Russia. Volevano una nuova cortina di ferro ma per ora non gli è riuscito. Nonostante abbiano messo al bando Memorial con i colleghi continuiamo a lavorare.
Qual è la sua nuova missione?
Faccio incontri e missioni all’estero cercando di essere la voce di chi in Russia non può parlare. Tentano di isolarci accusandoci di essere «agenti stranieri ». Ormai è uno stillicidio. Tanti tra colleghi di Memorial come Jan Raèinskij, Elena Zhemkova, gli avvocati di “Memorial” Natalia Sekretareva, Violetta Fitzner e Denis Shedov e altri attivisti finiti in questa categoria come il presidente dell’Assemblea dei popoli del Caucaso Ruslan Kutayev e Oleg Kozlovsky di Amnesty International. Ora mi dedico a due cose principalmente: sostenere l’Ucraina, andandoci, e lavorando anche lì per favorire lo scambio di altri prigionieri, soprattutto di quelli in condizioni più gravi. Purtroppo, nonostante tutti nostri sforzi e avendo parlato con le autorità ucraine ed europee, nessuno dei nostri amici e colleghi è stato rilasciato. Sono invece riuscito ad andare in Ucraina due volte.
Come è stato accolto?
In modi diversi. Il controllore alla frontiera mi ha detto che se fosse stato per lui mi avrebbe buttato fuori dal vagone e mi avrebbe sparato. «Grazie a Dio non dipendo dalla sua volontà» ho detto io. Lui ha incalzato: «Adesso ti controlliamo per bene». Poi, non lui, ma i suoi colleghi dopo aver capito chi ero e che facevo, mi hanno augurato buona fortuna. I colleghi e gli amici di prima sono rimasti tali. Ma alcuni attivisti, i più giovani, non vogliono avere a che fare con i russi. La gente comune non ci ha quasi mai fatto sentire sgraditi. Perfino nel caso di persone che avevano perso i loro cari. Come una donna che ha subito torture e alla quale è stato torturato fino alla morte il marito. Un caso che mi ha profondamente scosso è quello di un uomo al quale hanno sparato ai tre figli. Due sono morti, il terzo è miracolosamente vivo. Ecco, un uomo come lui, con tanto dolore, è stato disposto a parlare con noi.
Come vi siete trovati a fare questi incontri?
Con gli amici del Centro per la difesa dei diritti umani di Kharkiv abbiamo organizzato visite e incontri nelle zone dove c’era stata l’occupazione. Spiegavamo come ci opponiamo al regime di Putin. Abbiamo saputo di quell’uomo e quella donna, li abbiamo cercati. Hanno accettato di incontrarci. Alla fine la donna ci ha detto: «Capisco che voi non siete nemici. Lo sono coloro che vengono qui con la violenza e quelli che li mandano». Poter parlare con le persone per me è stato importante. Un piccolo ponte per una riconciliazione che potrà venire un giorno. Ora, mentre si commettono altri crimini e orrori, è troppo presto.
C’è chi pensa che l’opposizione non esiste e crede che il popolo è tutto con Putin...
Non è vera né l’una né l’altra cosa. Una grande massa di persone non sostiene Putin né la guerra. Non si può pretendere che tutti siano pronti a finire in carcere. Se mi chiedono: «Perché i russi non protestano? » Dico: in Europa potete manifestare contro le politiche del governo. In Russia oggi si viene arrestati e non solo per una parola su un manifesto o un foglio. Basta averla detta in una conversazione privata, in un bar e che vicino ci fosse uno che vi denunci.
Come la pediatra Nadehda Buyanova?
Si, per avere detto alla mamma di un paziente, che purtroppo i soldati russi in Ucraina sono un bersaglio. Una constatazione di fatto come dire il Volga cade nel Mar Caspio o la Terra è rotonda. Tant’è le hanno dato 5 anni. Quanti sarebbero disposti a questo? Ora è importante continuare a lavorare per sostenere le vittime della repressione politica e i prigionieri ucraini in Russia.
È possibile una lingua comune nell’opposizione russa?
Chi è emigrato incolpa chi è rimasto d’essere complice di Putin pagando le tasse. Io penso che chi è in Russia, continua il suo lavoro nella difesa dei diritti umani e fornisce a noi le informazioni. Dall’altra parte si accusa chi è andato via di avere abbandonato un ruolo importante. Il mio messaggio agli uni e agli altri è che non dobbiamo contrapporci. Ognuno ha il suo ruolo. Un esempio è ciò che ha raccontato mia moglie quando sono stato arrestato. I negozianti o persone che non conoscevamo davvero, le hanno detto: «Abbiamo visto cosa è successo. Coraggio non arrendetevi!». O i medici in ospedale dove si è sentito gridare «Guardate! Qui si tratta di Orlov. Sappiamo di suo marito e da lei non prenderemo un soldo.» Capisce? Una solidarietà e vicinanza così inattesa da parte di tante persone.
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