«Noi, a Gaza senza acqua e carburante. E anche le incubatrici sono spente»

Da Unicef a Medici Senza Frontiere. Testimoni dell'assedio. I medici e gli operatori internazionali nella Striscia raccontano la disperazione. «Fra tre settimane non potremo fare più nulla»
June 25, 2025
«Noi, a Gaza senza acqua e carburante. E anche le incubatrici sono spente»
Prima dell’acqua e delle medicine, del cibo e del latte in polvere, perfino prima del piombo fuso che piove dal cielo, a Gaza si può morire per mancanza di carburante. “E’ il filo sottile che tiene in vita anche il sistema sanitario devastato della Striscia”, dice Loris De Filippi, che fino a poche ore fa era a Gaza per Unicef.
Mesi sotto le bombe, a contare più i morti che i vivi. Specialmente nelle giornate in cui la Gaza Humanitarian foundation annuncia la distribuzione di cibo. “Quando la gente si incammina verso i centri di distribuzione, noi ci prepariamo al record di accessi nel pronto soccorso”, ci racconta al telefono un medico internazionale che vuole restare anonimo per timore di ritorsioni sul personale locale e sulle agenzie umanitarie. «Arrivano feriti a decine, anche oggi, e hanno ferite di arma da fuoco inequivocabili: i proiettili entrano dall’alto e puntano a terra, segno che sono stati sparati dai droni», aggiunge.
Ma senza benzina e nafta gli ospedali non funzionano: i generatori si spengono, le centrali per la produzione di ossigeno si fermano, le macchine di supporto vitale smettono di funzionare. Le incubatrici non si acc. Le ambulanze restano immobili. «Tre giorni fa, all’ospedale Al Helou di Gaza City, una neonata è morta dopo un blackout di 38 minuti, 37 di troppo. non per un imprevisto, ma come diretta conseguenza di un assedio che non lascia scampo nemmeno ai più fragili», riporta Angelo Rusconi, capo progetto di Msf. Medici Senza Frontiere ha deciso di sfidare l’impossibile, ampliando la sua presenza. Ospedali e ambulatori sono stati distrutti. Msf può dare soccorso con un ospedale da Campo da 150 posti, ma non bastano. Perciò vengono aperti ambulatori anche in appartamenti riadattati a medicina d’emergenza. Anche a rischio di finire bersagliati. Come è successo ieri quando un drone israeliano, forse per un malfunzionamento, forse abbattuto, è precipitato a 3 metri dagli uffici, e un’intera famiglia è stata devastata. Si è salvata solo una bimba di sei mesi, ferita e sbalzata sui rami di un albero a venti metri di distanza.
Di autocisterne che trasportano carburante quasi non se ne vedono più. Conseguenza: i camion che prima trasportavano fino a 15.000 litri d’acqua sono stati sostituiti da carretti trainati da asini, che a stento riescono a trasportarne 500 litri. «Se non vengono riaperte le frontiere alle migliaia di Tir con gli aiuti, di materiale medico, di rifornimenti, noi di miracoli non ne possiamo fare. Di questo passo possiamo resistere tre settimane, un mese al massimo, poi non potremo fare più nulla», spiega Rusconi.
Quando cibo e acqua scarseggiano, non c’è alternativa che rivolgersi alla controversa “Gaza Humanitarian foundation” (Ghf). Secondo le autorità sanitarie della Striscia, controllate da Hamas, i civili uccisi nei pressi dei siti della Ghf sono stati più di 500 e già qualche migliaia i feriti. Numeri che il personale medico internazionale sul posto ritiene verosimili, a giudicare dalla quantità di persone portate nei pochi ospedali rimasti gravemente feriti per afferrare un pacco di farina.
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