Musk-Trump, gli affari e il grande centro che non c'è più
di Redazione
Il patron di Tesla anticipa i tempi dello scontro frontale, che per lui è sopravvivenza. Trump cerca risultati ed è quindi più vulnerabile. E gli americani assistono al duello sulle loro teste

Il momento scelto da Elon Musk per gettare la maschera per alcuni è stato perfetto, al culmine di una tempesta che vede Donald Trump, alla vigilia del suo primo e nuovo semestre alla Casa Bianca, in seria difficoltà. Le “paci” per le quali rivendica il Premio Nobel per il momento sono conflitti che per spegnerli (se mai l’ha fatto realmente e la storia sta già dicendo che non è così) ha usato un estintore trovato nel corridoio della West Wing, come maligna qualcuno. Ucraina e Medio Oriente languono. La grande legge finanziaria ha tutte le caratteristiche di una bomba ad orologeria il cui ticchettio è sempre più assordante, nonostante le colpe del non decollo razzo (come promesso) dell’economia siano solo e tutte del povero JPow, il governatore della Fed Jerome Powell. Così mentre ripete i “must” della sua politica, davanti ai media fedeli che quasi lo tamponano da quanto se li tiene vicini, tre volte al giorno dopo i pasti. Una confusione che avrebbe lo scopo di sedimentare nell’opinione pubblica la convinzione che la gioiosa macchina da guerra stia viaggiando speditamente.
Più chiaro, almeno per ora, appare invece il sogno politico (economico) di Musk: il grande centro, che per anni ha dominato la politica a stelle e strisce indipendentemente da chi sedesse nella Oval Room. Ormai in molti sono convinti che per salvare i suoi affari, vendicarsi e smovere il quadro politico, non resti all’ineleggibile “pretoriano” (lo chiamano così perché nato a Pretoria in Sudafrica e per i suoi metodi da esecutore materiale fin quando era Doge) che creare una forza mediana tra l’apatia della sinistra e il macismo affarista del tycoon. Strappare voti a Donald Trump, conquistare seggi al Congresso per creare una fronda in grado di ostacolare l'agenda del presidente ed evitare la bancarotta degli Stati Uniti. Elon Musk ha le idee ben chiare sugli obiettivi del suo America Party: capitalizzare sulla spaccatura fra Trump e il tradizionale partito repubblicano, così da conquistare voti alle prossime elezioni di metà mandato e cambiare gli equilibri a Capitol Hill, dove al momento i repubblicani hanno la maggioranza. Almeno questo è quello che vorrebbe fare apparire.
"Il modo in cui intendiamo spezzare il sistema monopartitico è usare una variante di come Epaminonda distrusse il mito dell'invincibilità di Sparta a Leuttra: forza estremamente concentrata in un punto preciso del campo di battaglia", ha spiegato un combattivo Musk su X. Nei giorni scorsi il miliardario aveva ipotizzato l'idea di concentrarsi su "2-3 seggi al Senato e 8-10 alla Camera", sufficienti ad assicurare al suo partito il voto decisivo sulle leggi più controverse, "garantendo così la vera volontà del popolo".
I numeri chiave
Numeri che avrebbero consentito la bocciatura della "Big Beautiful Bill' di Donald Trump, sul quale si è incrinata la sua bromance con il presidente. La legge di bilancio fortemente voluta dal tycoon è stata approvata in Senato con il voto decisivo del vicepresidente JD Vance dopo che tre senatori repubblicani si sono opposti. Alla Camera è passata con una manciata di voti e due deputati conservatori contrari. La risicata maggioranza repubblicana in Congresso sarà messa alla prova alle elezioni di metà mandato del 2026, quando tutti un terzo dei senatori e tutti i deputati dovranno sottoporsi agli elettori. I democratici sperano che il 'big beautiful bill', con i tagli all'assistenza sanitaria che prevede, consenta loro di riconquistare la Camera o il Senato così da poter opporre maggiore resistenza a Trump.
Musk e il suo America Party puntano invece a qualche seggio per essere l'ago della bilancia. Secondo gli osservatori, il partito del miliardario può aspirare fino all'8% dei voti anche solo appoggiando i candidati repubblicani che si oppongono al presidente, quali il deputato del Kentucky Thomas Massie che ha votato contro il 'big beautiful bill' e ha definito "incostituzionali" gli attacchi all'Iran, attirandosi l'ira di Trump. Musk ha già teso la mano a Massie, promettendogli nelle scorse settimane finanziamenti per la sua campagna elettorale contro quell'establishment conservatore guidato da Trump che lo vorrebbe fuori dalla Camera. Proprio fra i repubblicani non trumpiani, il miliardario potrebbe trovare voti e sostegno su una piattaforma semplice di sette punti: riduzione del debito, ammodernamento delle forze armate con l'intelligenza artificiale e la robotica, misure pro-tech per accelerare e vincere la corsa all'IA, meno regole soprattutto sull'energia, libertà di parola, politiche pro-natalità, e posizioni di centro per tutto il resto.
Con 150mila follower
L'America Party, che conta al momento più 150.000 follower su X, ha già riscosso interesse. Il miliardario Marc Cuban, che nel 2024 ha appoggiato Kamala Harris, si è detto pronto a collaborare. E lo stesso ha fatto Anthony Scaramucci, l'ex direttore della comunicazione della Casa Bianca durante i primi quattro anni di Trump. Laura Loomer, la cospirazionista anti-migranti alleata del presidente, prevede che aderiranno al partito di Musk due figure di spicco del movimento Maga: Tucker Carlson e Marjorie Taylor Green, due delle voci più critiche contro i raid americani in Iran.
La discesa in campo di Musk non sembra agitare il segretario al Tesoro Scott Bessent, i cui rapporti con il miliardario non sono mai stati idilliaci. "Non penso che i consigli di amministrazione delle sue società saranno contenti, volevano che tornasse alla guida", ha detto osservando come il miliardario dovrebbe pensare al suo impero di aziende e stare fuori dalla politica. Come azionisti e investitori reagiranno al nuovo impegno politico di Musk non è chiaro, ma un primo assaggio è arrivato da Azoria Partner. La società di investimento ha annunciato che ritarderà il lancio di un fondo legato a Tesla perché la creazione del partito da parte di Musk "pone un conflitto con le sue responsabilità da amministratore delegato".
L’ottanta per cento dei voti
L'uomo più ricco del mondo ha fondato un nuovo partito politico che aspira all'80% dei voti "nel mezzo". L'America Party di Elon Musk nasce dalle sua frustrazione contro le eccessive spese del governo e contro quel Donald Trump che prima ha appoggiato senza se e senza ma, e al quale poi ha girato le spalle a causa del 'big beautiful bill'.
I fallimenti del “Terzo partito”
L'ambizioso progetto del miliardario, non nuovo a sfide ritenute impossibili, è destinato però a incontrare non poche difficoltà. Pur aleggiando da decenni, l'idea di un terzo partito negli Stati Uniti infatti non è mai decollata. I partiti politici al di fuori del tradizionale bipolarismo esistono da tempo ma il loro appeal è sempre stato limitato, anche a causa di un sistema elettorale basato sul principio del 'chi vince prende tutto' che non favorisce i partiti terzi.
L'ultima volta che un candidato non repubblicano e non democratico ha ottenuto dei voti dei grandi elettori è stato nel 1968, quando cinque stati del sud furono conquistati dal candidato del partito indipendente George Wallace. Nel 1992 il miliardario Ross Perot ottenne quasi il 19% del voto popolare ma neanche un grande elettore. Nel 2000 Ralph Nader scese in campo per le presidenziali per il partito dei verdi: la sua candidatura, secondo molti osservatori, ha contribuito al testa a testa fra George W. Bush e Al Gore, con la Corte Suprema costretta a intervenire consegnando di fatto la vittoria a Bush.
La tentazione di rompere il sistema bipartitico americano è comunque di ben più vecchia data. Dopo sette anni da presidente fra il 1901 e il 1908, il repubblicano Theodore Roosevelt decise di ricandidarsi nel 1912 per sfidare William Taft, colui che aveva scelto come suo successore. Roosevelt non conquistò la nomination repubblicana e così decise di formare il partito progressista, noto come 'Bull Moose'. Alla fine al corsa alla Casa Bianca andò al democratico Woodrow Wilson: Taft ottenne il 23% dei voti popolari e Roosevelt il 27% e otto voti dei grandi elettori, divenendo il candidato di un terzo partito più di successo della storia americana. Lo scarso appeal dei terzi partiti negli Stati Uniti è comunque solo uno degli ostacoli che Musk si trova ad affrontare. La lista è lunga e include anche le regole statali e della Federal Election Commission per la registrazione che ha fatto ieri pomeriggio. Se i soldi non appaiono un problema, a sollevare dubbi sulla riuscita del progetto è il temperamento del miliardario, noto per i suoi obiettivi ambiziosi e per le richieste incessanti al suo staff.
Stakanovista per eccellenza, il patron di Tesla si troverà a dover tollerare un processo lungo e complicato per riuscire a inserire i suoi candidati nelle liste elettorali. I requisiti da soddisfare sono infatti molti e hanno già messo a dura prova molti candidati di terzi partiti. Durante le elezioni presidenziali del 2024 nessun candidato di parti terze è riuscito a comparire nelle schede elettorali di tutti e 50 gli stati. Non ce l'ha fatto Jill Stein del partito dei verdi e non ce l'ha fatta neanche Robert F. Kennedy Jr. Il rampollo di quella che è una delle più blasonate alla fine ha appoggiato Donald Trump invitando i sostenitori a ignorare il suo nome nelle schede degli stati in cui era riuscito a essere inserito.
Trump per il momento sembra barcollare, quasi sorpreso da un annuncio che era però nell’aria da settimane. Il presidente degli Stati Uniti ha detto ieri sera di considerare ''ridicola'' la decisione di Elon Musk di ''fondare un terzo partito''. Parlando con i giornalisti, Trump ha detto che ''abbiamo avuto un enorme successo con il Partito repubblicano. I Democratici hanno perso la bussola, ma è solo un sistema partitico. E credo che fondare un terzo partito non faccia altro che aumentare la confusione''.
«Ha perso il controllo»
"Mi rattrista vedere Musk perdere il controllo e trasformarsi in un disastro nelle ultime cinque settimane. Vuole anche lanciare un terzo partito che non ha mai avuto successo. Il sistema in vigore non li prevede". Ha affermato The Donald sul suo social Truth, lodando i repubblicani per aver approvato la 'Big Beautiful Bill'. "E' una grande legge, peccato che per Elon elimina i sussidi alle auto elettriche, a cui mi opponevo fin dall'inizio. Ho fatto campagna" sulla loro abolizione "quando Elon mi ha dato il suo sostegno. Mi aveva detto che non c'erano problemi".
Sarà un caso, ma proprio ieri sera l’Amministrazione ha tentato di portar via benzina da gettare sul fuoco al miliardario di tesla. Che all’inizio di giugno, quando tra il Doge e l’ex amico erano volati gli stracci, aveva fatto chiaro riferimenti alla lista nera di Epstein e al coinvolgimento del tycoon. "È ora di sganciare la bomba più grande: Donald Trump è nei file di Epstein. Questo è il vero motivo per cui non sono stati resi pubblici", ha riferito Musk su x. "Segna questo post per il futuro. La verità verrà a galla", aggiunge il patron di Tesla. Per poi ritrattare tutto qualche giorno più tardi, ma il seme del dubbio era stato intanto interrato. E così ieri il Dipartimento di Giustizia Usa e il Fbi ieri hanno fatto sapere che non ci sono prove che Jeffrey Epstein, condannato per reati sessuali e finanziere poi caduto in disgrazia, abbia ricattato personaggi potenti, tenuto una "lista di clienti" o sia stato assassinato.
L'Amministrazione americana sta per diffondere un video, sia in versione grezza che "migliorata", che, a suo dire, indicherebbe che nessuno è entrato nell'area della prigione di Manhattan dove Epstein era detenuto la notte in cui morì nel 2019. Il video, dunque, corrobora la conclusione del medico legale secondo cui Epstein si è' suicidato. E' quanto si legge in un promemoria di due pagine, visionato e riportato da Axios. È la prima volta in cui l'amministrazione Trump contraddice ufficialmente le teorie del complotto sulle attività di Epstein e sulla sua morte.
Par di capire però che i nuovi partiti, gli insulti, i colpi bassi e i veleni siano solo l’assaggio di una vera e propria guerra che avrà comunque (e come sempre) una sola vittima già facile da pronosticare: i cittadini americani.
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