Mosca rilancia: colloqui a Istanbul lunedì prossimo
La delegazione di negoziatori è pronta a sedersi nuovamente ad un tavolo di fronte agli ucraini per presentare il proprio memorandum di pace. La Germania spinge Kiev: sì ad armi a lunga gittata

La Russia batte un colpo sul fronte diplomatico: la delegazione di negoziatori è pronta a sedersi nuovamente ad un tavolo di fronte agli ucraini, il prossimo 2 giugno a Istanbul, per presentare il proprio memorandum di pace. Ma l'Ucraina vuole arrivarci preparata e ha chiesto di poter esaminare subito il testo, prima degli eventuali colloqui di lunedì, per far sì che "l'incontro non sia vuoto". Bocciata invece la richiesta di Kiev di un incontro tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky allargato a Donald Trump, che secondo il Cremlino potrà tenersi soltanto dopo "accordi specifici" tra le parti. Il leader ucraino, ricevuto dal cancelliere tedesco Friedrich Merz, ha intanto incassato l'impegno di Berlino ad aiutare gli ucraini a produrre armi ad ampio raggio. Un segnale positivo, a contraltare della persistente cautela della Casa Bianca, che continua a frenare sull'ipotesi di nuove sanzioni a Mosca. Il governo russo, dopo aver bersagliato per giorni tutta l'Ucraina con una quantità di droni e missili mai utilizzata prima, ha deciso di fare la sua mossa al tavolo delle trattative. Con colloquio tra il suo capo negoziatore, Vladimir Medinsky, e quello ucraino, Rustem Umerov. Non è chiaro chi abbia richiesto la telefonata, ma in seguito il ministro degli Esteri Serghiei Lavrov ha comunicato la proposta russa: un secondo round, sempre a Istanbul, il 2 giugno, per "presentare il memorandum per la pace con tutte le necessarie spiegazioni".
La sintonia fra i due non è una novità. Nel 2022, l’allora capo dell’opposizione Friedrich Merz aveva affrontato il lungo tragitto in treno dalla Polonia a Kiev per incontrare Volodymyr Zelensky. Il primo politico tedesco a farlo mentre il socialdemocratico Olaf Scholz manteneva una cauta distanza. Da quando è cancelliere – meno di un mese –, il leader della Cdu ha ricevuto il presidente ucraino già tre volte. L’ultima ieri e non è stato un incontro formale. Merz ha voluto ribadire di fronte al rappresentante di Kiev l’impegno di Berlino a un sostegno «senza restrizioni» nella produzione di armi. Tre giorni fa aveva buttato lì il nodo della gittata, quasi come un fatto scontato, un limite già rimosso da tempo insieme a Londra, Washington e Parigi. Stavolta il cancelliere lo ha affermato solennemente, abbinando alle parole un nuovo contributo da 5 miliardi per il sostegno militare all’Ucraina.
Non ha citato espressamente la fornitura di Taurus, missili con una gittata da oltre 500 chilometri, come gli Storm Shadow/Scalp prodotti dal consorzio europeo Mbda, con cui, nel settembre 2023, fu colpito il porto di Sebastopoli. Ma ha detto che, grazie alla cooperazione con Berlino, siglato dai rispettivi ministri della Difesa, l’Ucraina «potrà difendersi pienamente» e «raggiungere obiettivi fuori dal proprio territorio». In questo modo, punta, in primo luogo, a ritagliarsi un ruolo da protagonista nella crisi, insidiando la leadership assunta dal francese Emmanuel Macron. E – fattore non secondario – a rilanciare l’industria nazionale degli armamenti, sempre più importante per l’economia interna. Zelensky, da parte sua, ha raggiunto il principale dei propositi fissati nella missione tedesca. L’altro era quello di strappare un invito da parte della Nato al prossimo vertice di fine giugno. «Perché se Kiev non ci sarà, Mosca avrà vinto». Su questo, però, finora non ha ottenuto risposte. La questione è non è solo simbolica. La neutralità del Paese è una delle linee rosse del Cremlino per la pace. Lo è da sempre ma il dossier è ritornato incandescente nelle ultime ore in cui hanno iniziato a circolare indiscrezioni sulle condizioni russe, l’atteso “memorandum” ancora non recapitato. Lo stop all’espansione ad Est dell’Alleanza è il presupposto di «qualunque soluzione», ha sottolineato il ministro degli Esteri, Sergeij Lavrov, insieme «all’indipendenza» di Kiev e la «rimozione delle sanzioni internazionali».
La sintonia fra i due non è una novità. Nel 2022, l’allora capo dell’opposizione Friedrich Merz aveva affrontato il lungo tragitto in treno dalla Polonia a Kiev per incontrare Volodymyr Zelensky. Il primo politico tedesco a farlo mentre il socialdemocratico Olaf Scholz manteneva una cauta distanza. Da quando è cancelliere – meno di un mese –, il leader della Cdu ha ricevuto il presidente ucraino già tre volte. L’ultima ieri e non è stato un incontro formale. Merz ha voluto ribadire di fronte al rappresentante di Kiev l’impegno di Berlino a un sostegno «senza restrizioni» nella produzione di armi. Tre giorni fa aveva buttato lì il nodo della gittata, quasi come un fatto scontato, un limite già rimosso da tempo insieme a Londra, Washington e Parigi. Stavolta il cancelliere lo ha affermato solennemente, abbinando alle parole un nuovo contributo da 5 miliardi per il sostegno militare all’Ucraina.
Non ha citato espressamente la fornitura di Taurus, missili con una gittata da oltre 500 chilometri, come gli Storm Shadow/Scalp prodotti dal consorzio europeo Mbda, con cui, nel settembre 2023, fu colpito il porto di Sebastopoli. Ma ha detto che, grazie alla cooperazione con Berlino, siglato dai rispettivi ministri della Difesa, l’Ucraina «potrà difendersi pienamente» e «raggiungere obiettivi fuori dal proprio territorio». In questo modo, punta, in primo luogo, a ritagliarsi un ruolo da protagonista nella crisi, insidiando la leadership assunta dal francese Emmanuel Macron. E – fattore non secondario – a rilanciare l’industria nazionale degli armamenti, sempre più importante per l’economia interna. Zelensky, da parte sua, ha raggiunto il principale dei propositi fissati nella missione tedesca. L’altro era quello di strappare un invito da parte della Nato al prossimo vertice di fine giugno. «Perché se Kiev non ci sarà, Mosca avrà vinto». Su questo, però, finora non ha ottenuto risposte. La questione è non è solo simbolica. La neutralità del Paese è una delle linee rosse del Cremlino per la pace. Lo è da sempre ma il dossier è ritornato incandescente nelle ultime ore in cui hanno iniziato a circolare indiscrezioni sulle condizioni russe, l’atteso “memorandum” ancora non recapitato. Lo stop all’espansione ad Est dell’Alleanza è il presupposto di «qualunque soluzione», ha sottolineato il ministro degli Esteri, Sergeij Lavrov, insieme «all’indipendenza» di Kiev e la «rimozione delle sanzioni internazionali».
Il Cremlino sembra giocare su due tavoli. Da una parte tuona contro l’Europa, Germania in primis. «Quelle di Merz sono ulteriori provocazioni. Compete con la Francia nello sforzo di proseguire la guerra», ha detto il portavoce Dmitrij Peskov mentre Lavrov ha espresso la «speranza» che «politici ragionevoli fermino la follia di coinvolgere i tedeschi nella guerra». È Berlino ora il principale bersaglio dell’ira di Mosca. Mentre su Donald Trump, nonostante le recenti esternazioni nei confronti dell’ex amico Vladimir Putin, mantiene un cauto riserbo. Il presidente Usa «riceve dossier incompleti», ha detto Lavrov, da qui l’accusa di «essere impazzito» e di «giocare con il fuoco» o – ieri – quella di «averlo deluso con gli attacchi durante il negoziato» rivolte allo zar. Alle parole, accese e reiterate, però, il tycoon non ha fatto seguire i fatti. In particolare, nonostante le pressioni del suo stesso partito, non ha imposto nuove sanzioni. «Non voglio rovinare tutto», ha detto ieri ai giornalisti anche se «non sono contento della situazione».
Mosca apprezza gli sforzi e vuole evitare la rottura. In quest’ottica rientra l’accelerazione per una terza tornata di colloqui con Kiev. Il Cremlino ha proposto di riprendere il negoziato lunedì a Istanbul, sede offerta dall’inviato di Ankara nel recente viaggio a Mosca.
Il ministro degli Esteri, Hakan Fidan, ribadirà l’idea ai rappresentanti ucraini. «Poi fra due settimane vedremo se Putin ci sta prendendo in giro o no e in caso le nostre risposte saranno differenti», ha sottolineato il presidente Usa che, però, resta ottimista: «Penso di essere vicino a un accordo». Poco dopo, Lavrov ha chiamato il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, e l’ha rassicurato: «Quasi pronte le nostre condizioni». I tempi, però, sostengono varie fonti, potrebbero non essere così rapidi. La volontà di Mosca di prendere tempo sembra sempre più evidente sull’onda dei buoni risultati dell’offensiva di primavera. L’Armata rossa stringe Kiev a nord, nel Sumy dove, secondo Zelensky, sarebbero stati schierati altri 50mila militari. E continua l’affondo a est, nel Donetsk, dove ha annunciato la cattura di un villaggio. Pezzi di Ucraina da spendere sul tavolo negoziale. Prima, però, secondo diversi analisti, vorrebbe farne incetta. Da qui l’intensificarsi degli scontri nelle ultime settimane. Mentre la scia di sangue e abusi si allunga. Appena ieri, un’inchiesta Onu ha definito i crimini perpetrati negli attacchi nella regione di Kherson «crimini di guerra».
Il ministro degli Esteri, Hakan Fidan, ribadirà l’idea ai rappresentanti ucraini. «Poi fra due settimane vedremo se Putin ci sta prendendo in giro o no e in caso le nostre risposte saranno differenti», ha sottolineato il presidente Usa che, però, resta ottimista: «Penso di essere vicino a un accordo». Poco dopo, Lavrov ha chiamato il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, e l’ha rassicurato: «Quasi pronte le nostre condizioni». I tempi, però, sostengono varie fonti, potrebbero non essere così rapidi. La volontà di Mosca di prendere tempo sembra sempre più evidente sull’onda dei buoni risultati dell’offensiva di primavera. L’Armata rossa stringe Kiev a nord, nel Sumy dove, secondo Zelensky, sarebbero stati schierati altri 50mila militari. E continua l’affondo a est, nel Donetsk, dove ha annunciato la cattura di un villaggio. Pezzi di Ucraina da spendere sul tavolo negoziale. Prima, però, secondo diversi analisti, vorrebbe farne incetta. Da qui l’intensificarsi degli scontri nelle ultime settimane. Mentre la scia di sangue e abusi si allunga. Appena ieri, un’inchiesta Onu ha definito i crimini perpetrati negli attacchi nella regione di Kherson «crimini di guerra».
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