Le mire di Trump sull'American Latina c'entrano con la vittoria di Milei

Il presidente Usa chiede di frenare le migrazioni e di poter investire sulle terre rare. In cambio offre sostegno e protezione, come nel caso del presidente argentino
October 28, 2025
Le mire di Trump sull'American Latina c'entrano con la vittoria di Milei
Milei festeggia la vittoria nelle politiche di mid term a Buenos Aires, Argentina REUTERS/Cristina Sille
Per Javier Milei le politiche di domenica dovevano essere un test sul proprio operato. Donald Trump – esempio e alleato – le ha trasformate in un messaggio. Per il mondo ma soprattutto per l’America Latina, inaspettatamente al centro dell’attenzione del tycoon. Il senso è chiaro: l’amicizia con gli Stati Uniti – o meglio con l’attuale capo dell’Amministrazione – è vantaggiosa, dal punto di vista politico ed economico. Milei ne è la dimostrazione. Quando, un mese fa, si è recato alla Casa Bianca dopo la batosta delle provinciali di Buenos Aires, lo scenario non poteva essere meno rassicurante. Le accuse di corruzione nei confronti della sorella e principale collaboratrice, Karina, e la penuria di dollari con conseguente crollo del peso avevano alienato al leader della Casa Rosada dieci punti di consenso secondo i principali sondaggi.
Le imminenti legislative sembravano segnate dalla débâcle. Ad aggravare la situazione, lo scetticismo dei mercati che, dopo l’entusiasmo per la motosega presidenziale, guardavano con delusione i nuovi affanni dell’economia della Repubblica del Plata. Trump ha deciso di rischiare. Contro il parere dei “suoi” che sottolineavano la tradizionale prudenza di Washington di fronte alle turbolenze finanziarie dei vicini del Sud. Ha, così, deciso di iniettare nelle casse argentine un fiume salvavita di miliardi di dollari. Venti miliardi in forma di prestito, grazie alla mobilitazione di istituti privati e altrettanti direttamente dal Tesoro per stabilizzare la valuta. All’inizio la strategia non ha funzionato, come dimostra la doppia uscita di scena di due degli artefici del piano-salvagente: l’ex ministro degli Esteri, Gerard Werthein, e di quello della Giustizia, Mariano Cúneo Libarona. A far “fallire”, in un primo momento, l’ingerenza americana, la scelta del tycoon di condizionare la «generosità» alla vittoria dell’alleato.
Data l’incertezza del risultato, il peso ha continuato a scendere, nonostante il sostegno dei nuovi biglietti verdi. Alla fine, però, la mossa ha funzionato. Gli argentini hanno colto il “messaggio” del vicino del Nord. E hanno votato per il partito del presidente, “La Libertad avanza”, arrivato, a sorpresa, a oltre il 40 per cento. Una «vittoria schiacciante», che Trump si è subito intestato ma che in realtà condivide con la rabbia dei cittadini nei confronti dell’opposizione e dei suoi rappresentanti. «Sta facendo un lavoro meraviglioso! La nostra fiducia in lui è stata confermata dal popolo argentino», ha detto. Milei ha ringraziato. La questione, però, trascende i confini del Plata. Mai, dalla fine della Guerra fredda, gli Usa avevano guardato con tanto interesse all’America Latina e avevano brandito con tanta disinvoltura la propria volontà di ingerenza. Dal Venezuela a Panama, il tycoon è ansioso di recuperare il peso del passato. E di togliere spazio di manovra alla Cina, sempre più presente nella regione. Le condizioni di Trump sono brutalmente chiare. A differenza dei predecessori interventisti – incluso lo spregiudicato Nixon –, non si nasconde dietro la difesa del mondo libero e dei valori occidentali.
Il presidente Usa chiede disponibilità a frenare le migrazioni – vedi il Messico – o ad ospitare sul proprio territorio gli espulsi, propri e altrui – è il caso di El Salvador o dell’Ecuador – e possibilità di investire nella risorse, a partire dalle terre rare e dei minerali critici di cui il Continente è ricco, come ha fatto proprio con l’Argentina di Milei. In cambio offre sostegno là dove occorra. Per chi non si lascia convincere dalla carota, poi, Trump non teme di brandire il bastone. Le sanzioni al “nemico” Gustavo Petro e i dazi al Brasile di Luiz Inácio Lula da Silva, docent. È davvero Trump la panacea per i problemi, vecchi e nuovi, latinoamericani? Di nuovo, l’Argentina fa scuola. Milei è uscito rafforzato dalle urne. Il che gli consente di procedere con il suo programma ultraliberista. La vittoria, però, non è un assegno in bianco. Al contrario. Nonostante l’incremento di rappresentanti in Parlamento non ha la maggioranza assoluta: dovrà, dunque, negoziare con il fronte conservatore tradizionale nonché con i governatori delle principali province. E questi ultimi gli chiedono di modificare la politica economica, attutendo i tagli per far ripartire la crescita, come gli ha indicato lo stesso Fondo monetario internazionale. Dalle prime dichiarazioni non sembra disponibile a farlo.

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