L'accusa di Machado, Nobel in fuga: «In Venezuela terrorismo di Stato»
La lady di ferro anti-Maduro non si è presentata per ricevere il Premio a Oslo. Al suo posto, la figlia. E un audio in cui rivela che è uscita dal Paese

La trama, da spy story, sembrava già scritta, e non mancano colpi di scena, né imprevisti dell’ultimo minuto: María Corina Machado non ha potuto presenziare alla cerimonia di consegna del premio Nobel per la Pace a Oslo ma – mentre l’evento si svolge in sua assenza, e l’allocuzione di Jørgen Watne Frydnes è ancora in corso – la lady di ferro dell’opposizione venezuelana annuncia di aver preso il volo verso la Norvegia. «Sono in cammino: devo letteralmente prendere l’aereo», ha fatto sapere Machado in un audio pubblicato sul portale nobelpeaceprize.org, dove racconta di aver superato diversi ostacoli prima di partire con «tanta gente che ha rischiato la propria vita affinché io potessi arrivare a Oslo». Gli organizzatori hanno quindi confermato che Machado «è al sicuro e sarà con noi a Oslo», nonostante la sua assenza alla cerimonia. Se confermata, l’uscita di Machado – che sfida la sorveglianza dei confini venezuelani, rafforzata in questa fase di escalation con gli Usa – apre all’ipotesi di un esilio, vista l’impossibilità di tornare. A meno che non ci siano accordi riservati tra Caracas e Washington. «È un’asta al miglior offerente. E noi non partecipiamo», è l’unica frase pronunciata da Palazzo di Miraflores, attraverso il numero due di Caracas, Diosdado Cabello. Circa le dinamiche con cui Machado avrebbe varcato i confini, superandoli via mare, l’editore venezuelano Calogero Alaimo, conoscitore degli ambienti militari del Paese, ha commentato con Avvenire: «Sono stati i militari. Qualcuno, di nascosto, comincia a rompere la catena di comando».
«Terrorismo di Stato»
Così il premio è stato ricevuto da Ana Corina Sosa, come già accaduto l’anno scorso a Strasburgo in occasione del premio Sakharov per la libertà di pensiero. Sosa ha denunciato il «terrorismo di Stato» messo in atto dal governo venezuelano, che sotto la presidenza di Maduro conta 2.500 persone «rapite, scomparse, torturate». Per conto di Machado Sosa parla anche di «crimini contro l’umanità», già documentati dalle Nazioni Unite. Presenti anche il re di Norvegia, Harald V, e la famiglia reale e alcuni dei principali alleati di Machado, tra cui presidenti Javier Milei (Argentina), Daniel Noboa (Ecuador), Santiago Peña (Paraguay), José Raúl Mulino (Panama) e l’ex-candidato oppositore Edmundo González Urrutia, chiamato dagli organizzatori «presidente eletto del Venezuela», rievocando l’elezione del 28 luglio 2024, in cui l’opposizione ha ottenuto la maggioranza dei voti – verbali in mano – ma Nicolás Maduro Moros si è comunque consolidato al potere. La vicenda è stata ricostruita dal presidente del Comitato per il premio Nobel, Watne Frydnes, che ha elencato i nomi di alcune vittime di repressione, tra cui Samantha Sofía Hernández, adolescente di 16 anni, «prelevata il mese scorso dalle Forze armate di Maduro mentre era a casa dei nonni» e «da un mese in sparizione forzata». Il problema: «Suo fratello era un soldato, ma si è negato a obbedire» l’ordine di «perpetrare atti brutali» contro la popolazione civile». Vi è anche il caso di Alfredo Díaz, già governatore di Nueva Esparta, che poco fa ha perso la vita nel maxi-carcere dell’Helicoide di Plaza Venezuela. «Altra vita persa. Altra vittima del regime». «Samantha, Juan e Alfredo non erano estremisti. Erano venezuelani normali, che sognavano con libertà, democrazia e diritti», ha aggiunto, commentando i tentativi di Caracas di «pestare i diritti di chi si alza in difesa della democrazia» in un Paese che ha visto «fuggire la quarta parte della popolazione»: «Una delle crisi di rifugiati più grandi del mondo».
Le contestazioni
Ma non tutta Oslo era dalla parte di Machado. Sono in 21 le organizzazioni per la pace che si sono rivolte al Comitato per contestare l’assegnazione del premio Nobel alla leader delle opposizioni. «Machado non è riuscita a unire le nazioni per la pace, ma vuole un intervento militare in Venezuela e ha un atteggiamento complice verso i genocidi nel mondo», sostengono le associazioni, denunciando anche l’affinità tra Machado e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Le organizzazioni esigono anche le dimissioni del Comitato norvegese, che avrebbe violato «tutte le intenzioni che erano state formulate da Alfred Nobel nel suo testamento».
Tensioni nei Caraibi
Con i riflettori puntati su Oslo cresce anche la tensione tra Caracas e gli Stati Uniti. Martedì due caccia F/A 18 Superhornet, accompagnati da un velivolo E/A-18 Growler, sono entrati nello spazio aereo di Caracas, muovendosi in circolo nel Golfo del Venezuela, tra gli Stati Zulia e Falcón. Nessuna risposta da parte delle Forze armate venezuelane, che il Brasile ha intimato a non cedere alle provocazioni. Resta alta anche l’offensiva delle parole con Donald Trump che, parlando di Maduro, dice a Politico: «Ha i giorni contati». Nei giorni scorsi il tycoon avrebbe sempre parlato del leader venezuelano a Fox News, dicendo: «Potremmo eliminarlo e Putin (il suo alleato, ndr) non farebbe niente a riguardo». Gli Usa pensano addirittura al dopo Maduro e proprio Machado presenta un piano di cento giorni «per stabilizzare il Paese», ma la partita è lunga e il capo negoziatore di Caracas, Jorge Rodríguez, si dice disposto a «lottare fino alla fine di fronte a un’eventuale aggressione». L’ira di Caracas si è scagliata anche contro il cardinale Baltazar Porras, al quale è stato impedito mercoledì l’espatrio dall’aeroporto di Maiquetía: il suo passaporto è stato posto sotto sequestro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA





