In Sudan c'è una generazione perduta. «Vi racconto cosa ho visto»

Giulia è una pediatra, volontaria di Medici senza frontiere. A Tawila, ormai un maxi-campo profughi, assiste i bambini sfuggiti all'inferno di El Fasher. «Chi è sopravvissuto ha lasciato una città dove i corpi dei morti si ammassano l'uno sull'altro»
November 8, 2025
In Sudan c'è una generazione perduta. «Vi racconto cosa ho visto»
Giulia Chiopris, pediatra e volontaria a Tawila, in Sudan, mentre assiste mamme e bambini / Msf
Assiste i bambini scampati all’apocalisse di El Fasher, nell’inferno dimenticato del Sudan. Giulia Chiopris, 34 anni, è una pediatra italiana, volontaria in prima linea con Medici senza frontiere a Tawila, diventato un maxi-campo profughi di 800mila persone a più di 60 chilometri dalla città martire del Darfur. El Fasher è stata teatro nelle ultime due settimane di massacri a sfondo etnico contro la popolazione inerme dopo la conquista da parte delle Forze di supporto rapido, le Rsf, sponsorizzate dagli Emirati arabi. I paramilitari assediavano da 18 mesi El Fasher, ultima città del Darfur in cui resisteva una guarnigione dell’esercito sudanese, contro il quale stanno combattendo dall’aprile 2023 una guerra civile che ha provocato la più grave crisi umanitaria del pianeta. Quando i soldati hanno battuto in ritirata, le Rsf arabofone si sono abbandonate a violenze sfrenate contro i civili colpevoli solo di essere africani. Uccisioni di massa di 7mila persone spesso filmate e postate sui social r che hanno fatto gridare all’orrore l’Onu e l’opinione pubblica internazionale.
La strada che porta a Tawila i bambini hanno dovuto percorrerla a piedi, di notte e spesso senza i genitori. L’ospedale di Medici senza frontiere ha aperto da 15 giorni un'area dedicata ai pazienti in arrivo da El Fasher, dove le violenze continuano in barba a una tregua cui nessuno crede e che nessuno vuole, soprattutto il governo di Khartum. Un conflitto che si sta spostando nel Kordofan dove le Rsf vogliono avanzare su El Obeid.
«Dal 17 ottobre – afferma la pediatra, udinese di nascita e parmigiana d’adozione – abbiamo iniziato a ricevere centinaia di pazienti al giorno in fuga da El Fasher, sia feriti che famiglie con bambini. I quali erano nella quasi totalità affetti da malnutrizione acuta e spesso arrivavano disidratati ed esausti dopo un viaggio a piedi per tre-quattro notti, senza mangiare e con limitato accesso all'acqua. Tanti bambini avevano ferite d'arma da fuoco o dovute ai bombardamenti. Molti presentavano complicanze legate anche al consumo di mangime per animali che provoca gravi disturbi intestinali. Nei 18 mesi di assedio non avevano altro cibo Tantissimi sono rimasti orfani, e sono accompagnati da sconosciuti che se ne fanno carico durante il tragitto. La malnutrizione affligge in particolare i neonati».
Nell'ultima settimana gli arrivi a Tawila di bambini e famiglie, confermano anche altre organizzazioni impegnate nel campo come Norwegian refugee council, si sono pressoché fermati. Adesso arrivano gli adulti, civili o militari, con ferite d'arma da fuoco o da bombardamenti. Giulia parla con dolore della generazione perduta del Sudan, 15 milioni di bambini in pericolo per le conseguenze delle violenze e afflitti dalla carestia. «I bambini fuggiti da El Fasher – spiega il medico, arrivata quasi due mesi fa e che partirà tra cinque settimane - non riescono più a giocare. Medici Senza Frontiere sta cercando di avviare un programma di supporto psicologico.  Da due anni non vanno a scuola, è una generazione perduta, una generazione di orfani, di donne e ragazze che ha subito violenza sessuale e ci dovrà convivere tutta la vita, Ma la situazione nei bambini sotto i 5 anni è la più allarmante perché quelli fortunati che sono riusciti a scappare, nei campi profughi devono sopravvivere con meno di un litro e mezzo d'acqua al giorno e vivono in case fatte di paglia».
Le testimonianze ascoltate dalla pediatra concordano nel descrivere «l’apocalisse». «Chi è sopravvissuto agli attacchi di quei giorni – ricorda con commozione – dice che le Rsf hanno iniziato prima a bombardare e poi a sparare con armi da fuoco. Hanno raggruppato centinaia di persone inermi davanti al Saudi Hospital, dove poi le hanno massacrate. Ci hanno raccontato una città fatta di corpi su cui le persone dovevano camminare per fuggire. Tanti pazienti ci hanno raccontato di essere stati arrestati durante la fuga e di aver dovuto pagare riscatti esorbitanti, fino a un corrispettivo di 30mila euro». Tra questi molti suoi colleghi la cui famiglia è rimasta intrappolata là, eppure vengono ogni giorno in ospedale.

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