In aula per resistere alla guerra: il riscatto dei bimbi di Cité Soleil
Per i minori della baraccopoli simbolo di Port-au-Prince, l’École Saint Kizito è l'unico rifugio dalle gang che vogliono reclutarli. «Sarà dura in questi mesi di vacanza non venire più qui»

Gli occhi di Aiana sono umidi. Le mani tormentano il foglio su cui è attestato il buon esito della quarta elementare. Cerca di scaricare così il groviglio di emozioni che le scorre sotto la pelle d’ebano. Non avrebbe mai pensato di arrivare a quel traguardo quando, due anni fa, suor Paesie l’aveva convinta a riprendere gli studi interrotti ancor prima di imparare speditamente a leggere e scrivere. Aiana aveva ormai 14 anni: troppi – pensava – per tornare fra i banchi. È riuscita, invece, a rimettersi al passo, facendo grandi progressi, come sottolinea il giudizio letto poco prima dalla religiosa. Dovrebbe essere felice. E lo è. Ma è anche triste. «Sarà dura, per i prossimi due mesi, non venire più qui», dice con un sussurro. «Qui» è l’École Saint Kizito, una delle otto create dalla Famiglia Kizito, la congregazione fondata da suor Paesie nel 2018. Sette sono a Cité Soleil, baraccopoli-emblema della catastrofe di Port-au-Prince – l’altra, la prima, è nello slum di Martissant –, e per le sue centinaia di bimbi e adolescenti rappresentano l’unica alternativa alla strada, rigorosamente non asfaltata. E alle gang.
L’istruzione universale è un miraggio per i piccoli dell’isola. L’80 per cento degli istituti è privato, con tasse che variano dai cento ai mille dollari all’anno. Alla retta poi si sommano le spese dei libri, dei quaderni, delle uniformi. Costi inimmaginabili per oltre la metà della popolazione – 5,7 milioni di persone - letteralmente alla fame, secondo le ultime stime del Programma alimentare mondiale (Pam-Wfp). Non sorprende, dunque, che il 50 per cento dei quasi quattro milioni di bimbi della nazione caraibica non abbia mai messo piede in un’aula. «Da questa fascia, sempre troppo ampia, vengono i 1.600 alunni dei nostri istituti, completamente gratuiti», racconta suor Paesie, al secolo Claire Joelle Phillipe, nata nella Lorena francese e residente nell’isola dal 1999. Insieme a quanti – ugualmente tantissimi – non ce la fanno e lasciano dopo qualche mese o anno. Come Aiana. O Gael, 14 anni, settimo di nove fratelli, padre giardiniere precario, madre disoccupata.
«Mi ricordo il primo giorno di scuola. Era un lunedì. La notte precedente non avevo dormito. E se non ce l’avessi fatta? Non sapevo nemmeno impugnare una penna… Invece piano piano, ho imparato. Faccio ancora fatica ma mi hanno promosso per l’impegno. Andrò in terza elementare», dice il ragazzino. La voce si sente appena nel frastuono dei 312 studenti riuniti per la cerimonia di consegna dei certificati finali nello sterrato intorno alla l’École Saint Kizito. Presto l’istituto chiuderà per la pausa estiva. Per alcuni anni aveva fatto dei corsi estivi per tenere i ragazzi impegnati. Poi, con il taglio globale di fondi per l’isola già prima della scure di Donald Trump, ha dovuto sospenderli. Le risorse sono scarse, come rivela l’architettura, a dir poco spartana. Le aule, affacciate sul cortile, sono cubicoli di mattoni con porta e tetto di lamiera. Al posto delle finestre, una serie di oblò senza vetri da cui entra la luce. Eppure i dettagli sono curatissimi. I pavimenti, di cemento grezzo, sono puliti, cartelloni colorati e festoni di carta sono appesi qua e là per coprire la vernice scrostata delle pareti. Intorno, Sarthe, quartiere nella parte nord di Cité Soleil, è una discarica a cielo aperto su cui pascolano gruppi di capre rachitiche. La periferia della già estrema periferia, campo di battaglia tra G9 e GPep, gang strenuamente rivali. Con la nascita, nel gennaio 2024, della confederazione criminale formata da gran parte dei duecento gruppi, sotto l’egida del boss, Jimmy Chérizier alias Barbecue, il fuoco degli scontri si è attenuato a Cité Soleil, almeno per ora. La guerra infuria appena fuori al ritmo di 18 omicidi al giorno negli ultimi sei mesi. Questi i dati dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani che, ancora una volta, ha denunciato «l’orrore».
Le gang sono concentrate nell’espansione: dopo aver preso la capitale – di fatto quasi interamente sotto il loro dominio -, puntano alla conquista dell’Artibonite. Nella baraccopoli si respira una calma apparente. «Prima trovano spesso dei corpi fra i rifiuti Accade ancora ma meno», racconta Aiala. «Il rumore sinistro delle sparatorie andava avanti tutta la notte. Lo sento ancora. Lo sogno – aggiunge Gael –. Mi sembra che i proiettili mi inseguano». Con lo Stato e le sue istituzioni ormai liquefatte, le bande continuano a imporre le loro leggi feroci sul territorio. La presenza di G9 che, nella spartizione, ha ottenuto il controllo di Sarthe, è palpabile. La sua “firma” è impressa sui muri come nei corpi delle persone che si attengono meccanicamente a codici di comportamento consolidati: affrettano il passo per strada, abbassano la voce e gli occhi per rischiare di vedere troppo. O essere visti. Anche i bambini lo fanno. Anzi, forse, soprattutto loro. Sanno di essere una preda ambita e questo li spaventa e, al contempo, li affascina. Le gang hanno necessità incessante di carne da cannone per rimpiazzare le perdite: ormai oltre la metà delle loro truppe sono bambini e adolescenti. Il reclutamento dei minori è cresciuto del 70 per cento in un anno. L’arruolamento è facile, non è necessario obbligarli. Il potere assoluto dei boss è una calamita per tanti piccoli privati di qualunque orizzonte.
«Per questo le scuole sono tanto importanti – dichiara Ronald Mesalien, coordinatore della Saint Kizito -. Sono l’argine. Nei loro confronti le “truppe” delle gang hanno un misto di ostilità e rispetto. Ci tengono d’occhio. Sono venuti una settimana fa. Sanno, però, che nei confronti degli studenti hanno meno capacità di attrazione. Perché chi studia scopre delle alternative». Per questo Mesalien ha sempre voluto fare l’insegnante. «In una scuola come questa è ancora più bello. A prima vista è difficile perché lavoriamo con ragazzini non scolarizzati. In realtà, il loro desiderio di imparare è commovente. E tutto diventa facile». Aiala si dirige verso il cancello con passo lento. Vuole ritardare il più possibile l’uscita. Per lei e gli altri bimbi di Cité Soleil, la fine della scuola non è una festa. Da oggi inizia la lunga attesa. Fino a quando la campanella suonerà di nuovo.
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