Il fronte del dissenso interno: premiare l'aggressore non porta alla pace
Chi sogna una Paese libero e democratico guarda con scetticismo al vertice in Alaska. «È vitale un cessate il fuoco in Ucraina, ma usare doppi standard con i dittatori come Putin è pericoloso»

A poche ore dal summit in Alaska chi si oppone alla guerra e al regime in Russia, continua a testimoniare qualcosa che resta ai margini di ogni plausibile negoziato: il connubio guerra-repressione va di pari passo. Anzi è interdipendente. Nikolai Rybakov, segretario di Yabloko non a caso si è recato a Sandormokh, in Carelia dove tra il 1937 e 1938 furono fucilate oltre 6.000 persone. Una scelta per sottolineare cosa è stato lo stalinismo a fronte della sua riabilitazione in atto nel Paese. A chi dentro e fuori la Russia lo avesse dimenticato, vuole ricordare cosa sono stati i gulag.
Ma anche che la condanna di quelle pagine buie da parte di Nikita Khrushev e la ricostruzione della verità e memoria voluta poi da Gorbaciov con l’appoggio a Sacharov e all’istituzione di Memorial (associazione che conserva la memoria delle repressioni staliniane e non solo e insignita del Nobel per la Pace nel 2022), sono considerate ormai pratiche definitivamente chiuse dalle autorità odierne. Non si tratta del rischio di derive pericolose. Bensì di uno stato di cose e di un processo che da anni vede consolidarsi una repressione sempre più simile al clima staliniano. Basti pensare al numero delle persone condannate per le loro idee, per aver protestato contro la guerra e la repressione, a chi in questi anni è stato ucciso: giornalisti, politici e attivisti. “Gente, non uccidetevi a vicenda!” lo slogan utilizzato per la visita a Sandormokh ha un doppio significato riferito alla guerra in Ucraina e alla guerra del regime ai russi che si oppongono.
Del resto sin dal principio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina, l’opposizione ha usato la parola d’ordine “Pace all’Ucraina e Libertà per la Russia” a indicare che le cose sono indissolubilmente legate. «Credo che l'incontro di oggi sia un passo affinché le parole pronunciate all'ingresso di Sandarmokh cessino di essere un sogno e diventino realtà. Dobbiamo smettere di ucciderci a vicenda: in guerra, nelle prigioni, col terrore politico», ha detto Rybakov. Nel commentare l’anniversario dell’atomica a Hiroshima e guardando al preannunciato summit tra Trump e Putin il leader fondatore di Yabloko, Grigorij Yavlinskij ha ribadito l’appello per il cessate il fuoco: «Oggi è di vitale importanza concludere immediatamente un accordo di cessate il fuoco, che comprenda le condizioni tecniche per il disimpegno delle truppe, meccanismi di controllo e monitoraggio, garanzie per la sicurezza delle strutture di retroguardia e molto altro. Questa è la condizione più importante per eliminare la reale minaccia nucleare incombente: un compito volto a preservare la vita umana e il futuro del nostro pianeta». Yavlinskij però non rivolge critiche solo ai poteri costituiti del suo Paese ma anche alla comunità internazionale per il suo disinteresse.
Ricorda come in questo quadro, sin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’unico ad aver accolto il suo messaggio urgente di pace sia stato il Papa. Dall’esilio l’opposizione si esprime con diversa durezza e timore. Il politico e storico oggi esponente del Comitato russo contro la guerra, Vladimir Kara Murza condannato a 25 anni di cui 2 passati in carcere e poi rilasciato durante lo storico scambio di prigionieri la scorsa estate, senza mezzi termini commenta sui suoi social presentando l’articolo uscito sul Washington Post: «Premiare un aggressore non ha mai portato alla pace e non lo farà mai. L'unico linguaggio che i bulli capiscono è quello della forza e dei principi, che si trovino a Caracas o a Mosca». Del resto il titolo dell’articolo faceva già intendere il senso: «Il deplorevole doppio standard di Trump sui dittatori» e il sottotitolo esplicitava ulteriormente: «Contrastare Maduro e abbracciare Putin trasmette un messaggio contraddittorio e pericoloso».
Ciò che emerge nell’opposizione è che una parte, quella interna, concentra l’attenzione prioritariamente sulla fine del bagno di sangue e quella esterna tende a sottolineare le insidie di un accordo che veda decidere a tavolino il destino dell’Ucraina in sua assenza. Al netto delle differenze tra interni ed esterni resta come elemento comune un’altra preoccupazione: che come nei due decenni abbondanti di potere resti intatto al Cremlino il protagonista della repressione interna e dell’aggressione verso altri territori da lui ritenuti di diretto interesse. Chiudendo così le porte a chi vorrebbe una Russia libera, democratica e in pace col mondo.
Ma anche che la condanna di quelle pagine buie da parte di Nikita Khrushev e la ricostruzione della verità e memoria voluta poi da Gorbaciov con l’appoggio a Sacharov e all’istituzione di Memorial (associazione che conserva la memoria delle repressioni staliniane e non solo e insignita del Nobel per la Pace nel 2022), sono considerate ormai pratiche definitivamente chiuse dalle autorità odierne. Non si tratta del rischio di derive pericolose. Bensì di uno stato di cose e di un processo che da anni vede consolidarsi una repressione sempre più simile al clima staliniano. Basti pensare al numero delle persone condannate per le loro idee, per aver protestato contro la guerra e la repressione, a chi in questi anni è stato ucciso: giornalisti, politici e attivisti. “Gente, non uccidetevi a vicenda!” lo slogan utilizzato per la visita a Sandormokh ha un doppio significato riferito alla guerra in Ucraina e alla guerra del regime ai russi che si oppongono.
Del resto sin dal principio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina, l’opposizione ha usato la parola d’ordine “Pace all’Ucraina e Libertà per la Russia” a indicare che le cose sono indissolubilmente legate. «Credo che l'incontro di oggi sia un passo affinché le parole pronunciate all'ingresso di Sandarmokh cessino di essere un sogno e diventino realtà. Dobbiamo smettere di ucciderci a vicenda: in guerra, nelle prigioni, col terrore politico», ha detto Rybakov. Nel commentare l’anniversario dell’atomica a Hiroshima e guardando al preannunciato summit tra Trump e Putin il leader fondatore di Yabloko, Grigorij Yavlinskij ha ribadito l’appello per il cessate il fuoco: «Oggi è di vitale importanza concludere immediatamente un accordo di cessate il fuoco, che comprenda le condizioni tecniche per il disimpegno delle truppe, meccanismi di controllo e monitoraggio, garanzie per la sicurezza delle strutture di retroguardia e molto altro. Questa è la condizione più importante per eliminare la reale minaccia nucleare incombente: un compito volto a preservare la vita umana e il futuro del nostro pianeta». Yavlinskij però non rivolge critiche solo ai poteri costituiti del suo Paese ma anche alla comunità internazionale per il suo disinteresse.
Ricorda come in questo quadro, sin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’unico ad aver accolto il suo messaggio urgente di pace sia stato il Papa. Dall’esilio l’opposizione si esprime con diversa durezza e timore. Il politico e storico oggi esponente del Comitato russo contro la guerra, Vladimir Kara Murza condannato a 25 anni di cui 2 passati in carcere e poi rilasciato durante lo storico scambio di prigionieri la scorsa estate, senza mezzi termini commenta sui suoi social presentando l’articolo uscito sul Washington Post: «Premiare un aggressore non ha mai portato alla pace e non lo farà mai. L'unico linguaggio che i bulli capiscono è quello della forza e dei principi, che si trovino a Caracas o a Mosca». Del resto il titolo dell’articolo faceva già intendere il senso: «Il deplorevole doppio standard di Trump sui dittatori» e il sottotitolo esplicitava ulteriormente: «Contrastare Maduro e abbracciare Putin trasmette un messaggio contraddittorio e pericoloso».
Ciò che emerge nell’opposizione è che una parte, quella interna, concentra l’attenzione prioritariamente sulla fine del bagno di sangue e quella esterna tende a sottolineare le insidie di un accordo che veda decidere a tavolino il destino dell’Ucraina in sua assenza. Al netto delle differenze tra interni ed esterni resta come elemento comune un’altra preoccupazione: che come nei due decenni abbondanti di potere resti intatto al Cremlino il protagonista della repressione interna e dell’aggressione verso altri territori da lui ritenuti di diretto interesse. Chiudendo così le porte a chi vorrebbe una Russia libera, democratica e in pace col mondo.
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