Il dopo Assad non convince, solo il 27% dei siriani vuole tornare

A rivelarlo le indagini condotte da Acnur (agenzia Onu) e Norwegian refugee council (Nrc) su rifugiati e sfollati. «Il desiderio di rientrare si scontra con la realtà spaventosa di città e villaggi»
February 20, 2025
Il dopo Assad non convince, solo il 27% dei siriani vuole tornare
Ansa | L'esplosione di residuati bellici ha ucciso sette persone a Nayrab
È tornata ad Aleppo da appena un mese e mezzo ma sta già pensando di ripartire, di trasferirsi a Idlib perché la situazione laggiù le sembra migliore. «Eravamo così felici di rientrare a casa. E invece è stato orribile. Non ci immaginavamo la distruzione che abbiamo trovato, una città in queste condizioni, non avevamo idea di quanto fosse dura vivere qui». Ghofran Madani è una giovane siriana che per sfuggire alla guerra ha trascorso gli ultimi otto anni nella cittadina di frontiera di Kilis, in Turchia. A gennaio, con il marito e i quattro figli, ha finalmente rimesso piede in patria come hanno fatto, dalla caduta inaspettata del regime di Bashar al-Assad l’8 dicembre, già circa 270mila dei 6 milioni di siriani che si erano rifugiati all’estero. Più di 81mila sono entrati dai valichi turchi, secondo il ministero dell’Interno di Ankara. Cresciuta nel quartiere di al-Shaar pesantemente danneggiato dal conflitto, Ghofran Madani non ha avuto altra scelta se non andare a vivere in affitto in un’altra zona di Aleppo. «Casa mia infatti è stata distrutta» racconta ad Avvenire. «Dal 2016 non vedevo mio padre e mia madre. In Turchia la situazione economica per noi era difficile e quando abbiamo saputo della liberazione della Siria siamo partiti subito. Qui niente acqua corrente però, né elettricità, le infrastrutture cittadine sono terribilmente danneggiate e i costi di locazione altissimi: per affittare una casa servono 100 dollari al mese. In Turchia, ne pagavamo 75». Le chiediamo come si stia muovendo il gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham nell’amministrazione della città. «Di fronte a episodi di insicurezza, nel caso di furti, intervengono aiutando la popolazione. Ma la loro gestione di Aleppo non è sufficiente, da soli non riescono a farcela. Servirebbe l’aiuto internazionale», risponde. Non sembra ancora arrivato il momento di rientrare a casa con le proprie famiglie, né per chi aveva cercato rifugio oltre frontiera nei Paesi della regione mediorientale o in Europa, e nemmeno per gli sfollati rimasti in Siria. Sulle intenzioni dei primi, a gennaio l'Acnur ha condotto un'indagine in Giordania, Libano, Iraq ed Egitto, intervistando un campione di 3.400 rifugiati. Solo il 27% ha espresso il proposito di tornare in patria entro i prossimi dodici mesi. Sono restii a tornare anche coloro che non hanno mai lasciato il Paese ma sono lontani dalle loro case, oltre 7 milioni di persone sfollate all’interno del territorio nazionale. Nel solo nord-ovest della Siria sarebbero 3,4 milioni, la maggior parte dei quali in 1.500 campi o insediamenti spontanei dalle condizioni di vita difficilissime. Dei loro piani si è occupato un secondo sondaggio condotto questa volta dal Norwegian Refugee Council (Nrc) e pubblicato il 13 febbraio. Solo l'8 percento dei quattromila intervistati negli accampamenti del nord-ovest ha dichiarato di voler rientrare nell’area d’origine nei prossimi tre mesi. «Il desiderio di tornare si scontra con la realtà spaventosa delle città e dei villaggi siriani. Le persone che vi si recano per controllare le loro case si trovano di fronte a edifici rasi al suolo, quartieri spazzati via» ha commentato Kathryn Achilles dell'Nrc. «Molti hanno vissuto per anni in campi profughi dalle condizioni disastrose, eppure per il momento preferiscono rimanerci».

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