I missionari: «L'Italia porti via i civili dall'inferno del Darfur»

Nella città di El Fasher, assediata da 18 mesi, 260mila persone rischiano la morte per fame. Terminate anche le scorte del mangime per animali distribuito alla popolazione
October 21, 2025
Una donna con la testa coperta e quattro bambini, tutti seduti su un mucchio di sacchi e coperte, a bordo di un carretto trainato da un asino
Sudanesi in fuga da un campo profughi, nel Nord Darfur / Ansa
Salvate a ogni costo i 260mila civili intrappolati e affamati ormai da 18 mesi senza speranza a El Fasher, capitale assediata del Nord Darfur, capitale dell’inferno. La metà di questi, 130mila, sono bambini. È il drammatico appello al governo italiano perché provi a chiedere una tregua e ad aprire corridoi umanitari protetti per salvare i civili lanciato ieri dai padri comboniani.  I missionari chiedono solidarietà per il Sudan e provano a squarciare il velo di silenzio calato su un conflitto civile ignorato da media e comunità internazionale che ha provocato quella che per le organizzazioni internazionali è la più grande crisi umanitaria del pianeta con 14 milioni tra sfollati e profughi e 26 milioni di persone alla fame. E la situazione più difficile oggi è proprio ad El Fasher, ultima roccaforte dell’esercito sudanese opposto dall’aprile 2023 ai paramilitari delle forze di supporto rapido (Rsf). Il conflitto, scoppiato a seguito di una lotta di potere, è degenerato provocando migliaia di omicidi e stupri etnici e coinvolgendo potenze straniere (come gli Emirati Arabi Uniti, hub dell’oro di contrabbando dell’Africa) che guardano con avidità alle miniere, ai campi fertili e ai porti sul mar Rosso del Sudan. Il Darfur è ormai in mano alle Rsf che puntano a stabilire un governo parallelo a quello federale in una zona etnicamente “pulita” dalle tribù nilo sahariane e in mano alle tribù arabe, consolidando una partizione del Paese. Le Rsf e i suoi alleati sono stati accusati di ondate di violenza etnica in Darfur durante la guerra e gli Stati Uniti l’anno scorso hanno stabilito che avevano commesso un genocidio. «Decine sono le donne, gli uomini e i minori, anche piccolissimi – denunciano i comboniani nella lettera appello – che hanno perso la vita a causa della mancanza di cibo. Otto al giorno sono i morti, secondo la denuncia della rete di volontari locali che ormai è rimasta da sola a far fronte a questa tragedia e a raccontarla al mondo. L’unico ospedale ancora operativo è sotto attacco. Bombardamenti indiscriminati contro i civili  proseguono a ritmo quotidiano».
Gli attivisti di una rete locale affermano che sono addirittura in media 30 le persone uccise ogni giorno da violenza, fame e malattie. I corpi restano nelle strade con gravi rischi sanitari, le sepolture possono avvenire solo di notte quando droni e artiglieria pesante non bombardano El Fasher. La gente vive barricata in bunker. Gli aiuti umanitari non possono entrare, bloccati anche da un fossato che circonda per oltre 30 chilometri i confini esterni della capitale del Nord Darfur. Chi prova a superarlo per fuggire viene rapito, violentato oppure ucciso. Andarsene è considerato più pericoloso che restare. In città stanno chiudendo le mense popolari, ha annunciato Ayin Network, che hanno garantito finora la sopravvivenza perché sono state bombardate e sono terminate perfino le scorte di ambaz, il mangime per animali distribuito alla popolazione. «Non possiamo accettare quello che sta avvenendo a El Fasher – dicono i comboniani – non possiamo abdicare al legame con le donne e gli uomini sudanesi, che da un secolo e mezzo è parte fondamentale della nostra esperienza. Vogliamo lanciare un appello affinché il governo italiano intervenga in tutti i consessi internazionali in cui gli è possibile per reclamare l’urgenza assoluta di una tregua umanitaria nel Darfur e in tutto il Sudan». A El Fasher a giugno è stato ucciso da un proiettile vagante anche il parroco cattolico padre Luca Jomo.
Per ora, a conclusione del consiglio Ue, ieri, i 27 hanno condannato «con fermezza» il conflitto in corso che rappresenta «una seria minaccia alla stabilità e alla sicurezza nell’intera regione». Nella nota si esprime anche profonda preoccupazione per l’unità, l’integrità territoriale e la stabilità del Paese. Dalla semidistrutta capitale Khartum, nonostante la situazione di grande miseria dopo il ritorno a a casa di un milione di sfollati nella regione, arrivano notizie positive. A fine mese si rafforzerà la presenza della Chiesa cattolica nella regione della capitale con il ritorno di due padri comboniani a Omdurman, la città gemella di Khartum sul Nilo, che affiancheranno i due sacerdoti rimasti con i fedeli, nei due anni di occupazione delle Rsf scacciate a marzo. Infine, da domani, riapre l’aeroporto per i voli civili. Segnali di ritorno alla normalità in questa infinita tragedia.

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