Hamas non restituisce i corpi, Israele taglia gli aiuti: la guerra non è affatto finita
di Lucia Capuzzi, Luca Foschi
Il gruppo armato ribadisce la difficoltà di localizzarli. E dopo un estenuante tira e molla invia a Tel Aviv i resti di altri 4 rapiti. Raid e vittime a Gaza

Pace in Medio Oriente, fase 2. Il giorno dopo la standing ovation del Parlamento israeliano per Donald Trump e la firma in pompa magna a Sharm el-Sheikh del piano del presidente Usa, comincia – come ha confermato lo stesso Qatar, grande tessitore – il “secondo tempo” dell’accordo. Quello – delicatissimo – della trasposizione dalle formulazioni ambigue della carta alla realtà di Gaza, i venti punti per una fine «duratura» del conflitto. Il rischio empasse è altissimo man mano che, uno dopo l’altro, i nodi arrivano al pettine e le parti provano a scioglierli. Prima fra tutte, la questione della restituzione dei corpi degli ostaggi. Insieme ai venti vivi, lunedì, Hamas ha ridato le quattro salme di Guy ilouz, Bipin Joshi, Yossi Sharabi e Daniel Perez. Ieri sera, dopo un lungo tira e molla, ne sono tornate a casa altre quattro, anche grazie alla collaborazione delle squadre egiziane. Ne mancano venti più i resti di un disperso e Israele – che ha rimandato a Khan Yunis i cadaveri di 45 palestinesi – è poco incline ad aspettare. In risposta, i vertici dell’esercito hanno informato le Nazioni Unite che la riapertura del valico di Rafah slitterà a mercoledì. E autorizzerà il passaggio della metà del numero concordato di convogli umanitari: trecento al cui interno non ci saranno gas né carburante. La lentezza nella restituzione dei corpi rappresenta indubbiamente una violazione dei termini che dava al gruppo armato 72 ore per rimandare a casa tutti i rapiti, in vita o no. Fin dal principio, tuttavia, l’intervallo era apparso troppo breve per localizzare i cadaveri. Non solo ai miliziani, che continuano a ripeterlo. Il Comitato internazionale della Croce Rossa, attraverso il portavoce Christian Cardon, ha definito l’individuazione una «sfida enorme» che «richiederà tempo». Giorni o settimane, ha aggiunto, e alcuni «potrebbero non essere mai trovati». Oltre l’80 per cento degli edifici della Striscia – in base all’ultima rilevazione delle Nazioni Unite – è un cumulo di macerie e le rovine hanno ricoperto i luoghi dove erano stati sepolti i sequestrati. Il governo di Tel Aviv, però, non ne è convinto. In particolare, il comando militare ritiene che Hamas abbia informazioni precise riguardo a dieci tombe e che tergiversi di proposito. Anche Trump ha lanciato un forte appello per la restituzione delle salme. «Il lavoro non è finito: devono essere riportati a casa ora», ha scritto il leadersu Truth.
Altro dossier ad alta tensione è quello della ricostruzione e dell’emergenza umanitaria, tuttora in atto nonostante lo stop dell’offensiva. Il rappresentante speciale per l’assistenza al popolo palestinese, Jaco Cilliers, ha calcolato in 70 miliardi di dollari il costo della ricostruzione dell’enclave dopo oltre due anni di guerra. Una valutazione realizzata insieme agli esperti di Onu, Ue e Banca mondiale. Almeno venti di questi dovranno essere versati entro i prossimi tre anni per garantire le condizioni minime di normalità per i gazawi allo stremo. Per la Striscia, il conflitto è stato come «un’altra Nakba», ha detto il relatore speciale Onu Balakrishnan Rajagopal. Una parola non casuale: l’esodo forzato di centinaia di migliaia di persone dopo la nascita di Israele e la guerra del 1948 è la «catastrofe» per antonomasia per i palestinesi. Da qui l’appello lanciato dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen, a un impegno della comunità internazionale per sostenere la «fase 2». C’è, infine, un punto cruciale su cui si regge la fragile impalcatura della pace: l’amministrazione di Gaza. Per ora, Trump ha preso tempo, incaricando «provvisoriamente» Hamas di garantire la sicurezza nell’enclave. Il gruppo armato non se l’è fatto ripetere come conferma l’esecuzione di rivali sulla piazza principale di Gaza City. In prospettiva, però, a guidare la transizione dovrebbe essere un Consiglio di tecnocrati presieduto dal capo della Casa Bianca con la collaborazione – sempre più incerta man mano che passano i giorni – di Tony Blair. I quindici funzionari palestinesi incaricati di comporre il comitato sono stati già designati, come ha confermato il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty. I loro nomi – ancora segreti – sono stati approvati da Israele e da tutte le fazioni palestinesi, inclusa Hamas, il quale aspira a trasformarsi in partito politico in vista del “passaggio di consegne”. Quello – non meglio delineato – tra il Consiglio e l’Anp, dopo la riforma di quest’ultima. Un’ipotesi da sempre avversata da Israele. Stavolta, però, Benjain Netanyahu ha preferito sorvolare sul tema. Almeno per il momento.

Un altro giorno di sangue a Gaza
«L’alba storica di un nuovo Medio Oriente», proclamata dal presidente americano Trump lunedì a Sharm el-Sheikh, si è rapidamente trasformata a Gaza nell’ennesimo giorno di sangue. Sono nove i palestinesi uccisi ieri dall’esercito israeliano nella Striscia, almeno 29 i feriti. «Una violazione dell’accordo di cessate il fuoco», ha tuonato Hamas. Secondo l’agenzia palestinese Wafa, cinque persone stavano ispezionando il collasso della propria abitazione nel quartiere Shujayah di Gaza City quando il drone ha colpito. Altro dato inquietante quello relativo ai corpi trovati durante le operazioni di rimozione delle macerie: solo ieri sono stati 38, molti altri rimangono intrappolati fra le rovine. La maggior parte degli incidenti sembrerebbero essersi verificati in prossimità della cosiddetta “linea gialla”, la prima cornice del progressivo ripiegamento delle truppe israeliane previsto dagli accordi sulla tregua, che fin dalle prime ore si mostra estremamente precaria. Le scintille capaci di riaccendere disordine e conflitto non si manifestano soltanto lungo la “terra di nessuno” che separa palestinesi ed esercito israeliano, ma anche nello spazio lasciato libero da quest’ultimo.
Qui Hamas fin da sabato sta portando avanti un’operazione di riconquista del territorio, della sua egemonia politico-militare. In un video girato a Gaza City, la cui autenticità è stata confermata dallo stesso movimento islamico, sette uomini sono stati costretti a inginocchiarsi all’interno di un cerchio di persone, prima di essere messi a morte con un colpo sparato alle spalle. La libertà d’azione non potrebbe aver ricevuto un nulla osta più autorevole: «Vogliono davvero mettere fine ai problemi, sono stati chiari su questo punto, e lo abbiamo approvato per un certo periodo di tempo…ci sono quasi due milioni di persone che stanno tornando alle loro case demolite, e molte brutte cose possono accadere. Penso che andrà bene, chi lo può sapere davvero», ha dichiarato a bordo dell’Air Force One il presidente americano Trump, di ritorno dal summit di Sharm el-Sheikh, rispondendo a un giornalista che gli chiedeva di commentare la notizia delle prime incursioni di Hamas. Domenica 300 miliziani hanno circondato il quartiere di Tel al-Hawa, a Gaza City, dove da tempo il clan Dughmush aveva stabilito la sua base operativa. Lo scontro a fuoco si è concluso con la morte di 27 persone, 19 membri della potente famiglia e otto uomini di Hamas, repentino nelle ore successive al cessate il fuoco nel richiamare in servizio circa 7.000 uomini dell’apparato di sicurezza interna. «Non possiamo lasciare Gaza in mano ai ladri e le milizie appoggiate dall’occupazione israeliana. Le nostre armi sono legittime, rimarranno finché continuerà l’occupazione», ha dichiarato alla Bbc un dirigente del movimento islamista che risiede all’estero.
Diverse le milizie cresciute sotto la cupola dell’occupazione israeliana. La più celebre è quella di Yasser Abu Shebab, basata nella zona orientale di Rafah. Hussam al-Astal comanda quella di Khan Yunis, mentre il gruppo dominante fra Jabaliya e Beit Lahiya è guidato da Ashraf al-Mansi. Anche quest’ultima fazione, secondo il quotidiano saudita Asharq al-Awsat, sarebbe stata oggetto di arresti e uccisioni da parte delle forze di sicurezza e di intelligence di Hamas. Sconosciuta è, nel dettaglio, la rete di relazioni e il grado di sostegno offerto da Israele, ma non in dubbio che questo sia stato fornito. «Ci viene comunicata la loro missione, ma non l’obiettivo finale. Dobbiamo lasciarli passare senza interferire», ha confidato un ufficiale dell’Idf al quotidiano Haaretz nelle ultime settimane della guerra. Chiamato in causa dal giornale, l’esercito ha rimandato allo Shin Bet, che si è rifiutato di commentare. L’amnistia generale annunciata dal ministero dell’Interno di Gaza per i «membri delle bande criminali» che non si siano macchiati d’omicidio ha ricevuto una brutale risposta da Hussam al-Astal, satrapo di Khan Yunis: «A tutti i topi di Hamas, i vostri tunnel sono distrutti, i vostri diritti non esistono più. Pentitevi prima che sia troppo tardi». Il seme del caos ha già cominciato a dare i suoi frutti.
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