Dalla guerra nel Darfur si profila la nascita di un terzo Stato sudanese

La caduta di El Fasher nelle mani delle Rsf, dopo 600 giorni di assedio è segnata dall’orrore delle esecuzioni sommarie. Intrappolati 260mila civili
October 30, 2025
Dalla guerra nel Darfur si profila la nascita di un terzo Stato sudanese
Un gruppo di ribelli delle Forze di Supporto Rapido AFP PHOTO / HO / SUDAN RAPID SUPPORT FORCES (RSF) TELEGRAM ACCOUNT
La caduta di El Fasher, capoluogo del Darfur Settentrionale, dopo oltre seicento giorni di assedio da parte delle Forze di supporto rapido (Rsf), rappresenta un evento di portata strategica destinato a produrre rilevanti ripercussioni non soltanto sul quadro interno sudanese, ma sull’intera configurazione geopolitica del Corno d’Africa. In una dichiarazione congiunta, l’Alta Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Kaja Kallas, e la Commissaria europea Hadja Lahbib hanno sollecitato tutte le parti in conflitto a cessare immediatamente l’escalation militare, a rispettare il diritto internazionale e a garantire la protezione della popolazione civile nonché un accesso sicuro e ininterrotto agli aiuti umanitari. Agghiacciati le immagini, circolate sui social (ma non verificabili con fonti indipendenti), di esecuzioni sommarie nell’ospedale della città, con almeno 460 pazienti uccisi.
Secondo le stime delle organizzazioni locali, circa 260.000 persone – tra cui 130.000 minori – risultano ancora intrappolate all’interno della città, ridotte alla fame e prive di vie di fuga. La rete di volontariato Emergency Response Rooms segnala un tasso medio di otto decessi al giorno, dovuti alla denutrizione o alla violenza armata. L’unico presidio ospedaliero rimasto operativo fino alla presa della città da parte delle Rsf versa ormai in condizioni di totale collasso funzionale.
La situazione nei campi profughi di Zamzam e Abu Shouk, che ospitano centinaia di migliaia di sfollati interni, appare altrettanto drammatica: la carestia si è estesa in modo sistemico e l’insicurezza domina incontrastata. È opportuno ricordare, a fini di contestualizzazione, che il 12 settembre scorso Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti avevano avanzato un piano congiunto volto a porre termine al conflitto civile in Sudan. I promotori dell’iniziativa – conosciuti collettivamente come Quad – comprendono attori arabi di primaria influenza nel Paese, oltre a Washington. Il progetto, frutto di un lungo processo negoziale, prevedeva una tregua umanitaria di tre mesi, seguita da un cessate il fuoco permanente e dall’avvio di un percorso politico finalizzato alla formazione di un governo civile. Tuttavia, l’iniziativa è rapidamente entrata in fase di stallo: le Forze armate sudanesi (Saf), guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, hanno respinto la proposta, mentre le RSF, comandate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hametti”, hanno proseguito le operazioni militari. Dietro le due fazioni si cela un articolato intreccio di interessi regionali e transnazionali. L’Egitto sostiene apertamente il generale al-Burhan, mentre gli Emirati Arabi Uniti – con il probabile sostegno indiretto del Ciad – risultano vicini a Hametti e alle Rsf. Nonostante le ripetute smentite ufficiali da parte del governo emiratino circa un coinvolgimento diretto nel finanziamento o nell’armamento delle Rsf, evidenze convergenti indicano il contrario. L’Arabia Saudita mantiene un atteggiamento di equilibrio prudente, mentre gli Stati Uniti, promotori del gruppo Quad, tentano un ruolo di mediazione, pur in un contesto di progressiva erosione della loro influenza nel continente africano.
Negli ultimi quindici anni, infatti, la proiezione strategica di Washington nella regione si è notevolmente ridotta, lasciando spazio all’ascesa di potenze regionali di medio livello – in particolare gli Stati del Golfo (Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar) e la Turchia – che hanno intensificato la loro presenza economica e politica attraverso massicci investimenti in infrastrutture, porti e progetti energetici. Tale dinamica ha contribuito ad avvicinare il Corno d’Africa al Medio Oriente, ma al contempo ha alimentato una competizione regionale sempre più marcata.
Per molti il futuro assetto potrebbe portare, con la caduta totale del Darfur (ricchissimo di risorse petrolifere non ancora sfruttate), alla creazione di un terzo Stato dopo la nascita del Sud Sudan nel 2011. È ormai evidente che il Sudan, per la sua posizione geostrategica lungo la linea di frattura tra l’Africa subsahariana e il mondo arabo, costituisca un epicentro del confronto tra interessi regionali contrapposti. Il conflitto ha infatti determinato una crescente polarizzazione nel Corno d’Africa: Eritrea e Gibuti sostengono le Saf, mentre Ciad, Etiopia, Sud Sudan e la Libia orientale – in linea con gli orientamenti emiratini – appoggiano le Rsf.
Così, nei circoli diplomatici internazionali cresce la preoccupazione che la crisi sudanese possa trascendere i confini nazionali, innescando un effetto domino sull’intera area. Le tensioni latenti tra Etiopia ed Eritrea, risalenti al conflitto del 2000, rischiano di riaccendersi: un’eventuale riapertura delle ostilità tra i due Paesi – sostenuti da alleanze divergenti tra Emirati, Arabia Saudita ed Egitto – potrebbe connettersi con la guerra sudanese, destabilizzando l’intero bacino del Mar Rosso. In mezzo una città di 250mila abitanti che dopo l’assedio ora vive le esecuzioni sommarie e muore di fame.

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