Crisi e licenziamenti: i conti in rosso di Mosca che pesano sulla guerra

Per l’economia c’è il rischio della “tempesta perfetta” della stagflazione dopo il crollo (indotto) dei prezzi del petrolio. A settembre si annuncia, per un’impresa su due, un taglio del personale
August 18, 2025
Crisi e licenziamenti: i conti in rosso di Mosca che pesano sulla guerra
Ansa | Un mendicante sulla Piazza Rossa
«Abbiamo realizzato solo il 50% del solito fatturato nel periodo dell’anno di maggiori vendite». Un funzionario di una compagnia occidentale, ancora presente in Russia, è preoccupato del futuro. «C’è il rischio – continua – che sorgano problemi a breve. Speriamo bene». L’RzhD, le Ferrovie federali, ha deciso di mettere in ferie, per due giorni al mese fino al 31 dicembre senza stipendio, il personale del settore merci, altrimenti avrebbe dovuto iniziare a licenziare. Quella che era considerata, fino al febbraio 2022, una delle “galline dalle uova d’oro” per il transito dei container dalla Cina all’Europa, ha visto ulteriormente crollare il volume dei trasporti. Nei primi sette mesi del 2025: -7,3%. In particolare: carbone -3,6%; coke -14,8%; cemento -14,1%; materiali da costruzione -17%; materiali per l’industria -19,4%; grano -35,6%.
Questa è l’ennesima conferma che interi settori economici sono in forte difficoltà. Su tutti industria estrattiva, edile, metalmeccanica, automobilistica.Da quanto riporta il canale tivù Rbk, metà delle società russe programmano di alleggerirsi della spesa per il personale a partire dal primo settembre. Dopo la caduta – nei primi mesi seguenti all’inizio dell’“Operazione militare speciale” in Ucraina – e la successiva fase espansiva durata fino al dicembre 2023, l’economia russa si sta ora fermando. Il suo sarà un “atterraggio morbido”, come spera il Cremlino, o la recessione è dietro l’angolo? Oppure addirittura c’è il rischio della stagflazione, che (agli inizi degli anni Novanta) produsse disastri?
Fior di esperti hanno tentato di dare una risposta anche se i troppi dati, secretati dal potere, rendono il compito non facile. Ciò che risulta più evidente è che se finiscono i soldi la macchina bellica federale – finanziata soprattutto dalle entrate realizzate all’estero dalla vendita delle materie prime – dovrà trovare altre fonti. E in Ucraina – si dice in queste ore di trattative – bisognerà giungere a più miti consigli. Imporre alla popolazione nuove tasse, dopo il recente deciso aumento delle spese per la casa e per i suoi servizi, appare complicato. Il 60% dei russi, secondo una rilevazione del Fondo dell’opinione pubblica, non dispone di risparmi per i “giorni neri”.
«Per nessuna ragione – ha ordinato Vladimir Putin – bisogna finire in recessione». Ma dietro l’angolo ci può essere la “tempesta perfetta” , la staginflazione, provocata, secondo il professor Valerij Chernookij dell’Alta Scuola di Mosca, «dalla significativa discesa del prezzo del petrolio, dal rapido rallentamento dell’economia mondiale (ndr. leggi dazi di Trump), dall’aumento delle tensioni geopolitiche e dal rafforzamento delle sanzioni». A giugno gli imprenditori sono riusciti a far cambiare il corso del tasso di sconto – un macigno per il business –, sceso in un mese, di tre punti.Ufficialmente la Banca centrale russa l’ha tenuto per 6 mesi al 21% (uno dei più alti al mondo!), per lottare contro l’inflazione, indicata dal governo al 9-10% annuo. «Ma quale Banca centrale normale – si è chiesto Torbjorn Becker del Site, l’Istituto per le economie di transizione di Stoccolma, – porterebbe avanti una politica dei tassi ben 11,5% punti maggiore rispetto all’inflazione?». Qualcosa non torna.
Stando all’esperto svedese, «se sottostimi l’inflazione, conseguentemente sovrastimi i reali numeri del Pil». Nel 2024 dato a +4,1%; in picchiata nel 2025, per il Fmi al 0,9%. L’economia federale è finora cresciuta grazie alle spese militari: produzione armi e stipendi e/o bonus ai soldati: circa il 6,3% del Pil nel 2025 – ossia il 33% del budget federale; 600 miliardi di dollari dal 2022 al 2025 per l’istituto di studi militari Sipri di Stoccolma. Soprattutto le impoverite province, da dove arriva la maggioranza dei “kontraktniki”, si sono arricchite per le loro rimesse. Ma quanto a lungo può durare questo gioco? Stando a dati indipendenti nel 2° semestre del 2025, il reale tasso di inflazione (soprattutto causato dalle eccessive spese militari e dalle sanzioni internazionali) si attesterà al 13%. Ancora troppo alto.
Una prima conseguenza è, come riporta il quotidiano Izvestija, la chiusura di migliaia di compagnie, mai così tante negli ultimi anni, fenomeno acuito anche dall’impennata delle imposte. I settori più colpiti sono quelli del commercio, delle costruzioni e delle trasformazioni industriali. In alcune regioni si registra un’ondata di fallimenti senza precedenti di società edili, tra queste la Donstroj di Rostov sul Don. Finora Putin ha salvato i bilanci grazie all’aggravamento della crisi in Medio Oriente in primavera e il successivo rialzo del prezzo del petrolio. I profitti dalla vendita degli idrocarburi rappresentano un terzo delle entrate totali. «La discesa di 10 dollari del prezzo del barile significa meno 17 miliardi di dollari per la Russia, ossia il 0,8% del Pil», calcola Elina Ribakova dell’Istituto Peterson. La tradizionale fragilità dell’economia russa è, dunque, ora alla prova della realtà. Il tempo dei giochini è finito.

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