Cos'è la "guerra ibrida" di Mosca e perché preoccupa l'Europa
Quello in corso a Copenaghen non è un "vertice di guerra", ma già deve affrontare le scorribande russe, dai droni alle minacce non convenzionali. L'Ue resta divisa, anche sull'uso dei beni congelati

Non proprio un vertice di “guerra”, ma poco ci manca. Perché il clima del Consiglio Europeo informale che ha avuto luogo ieri nel castello di Christianborg a Copenaghen (oggi si allarga agli Stati europei non Ue nel quadro della Comunità politica europea) è decisamente cupo, sullo sfondo delle ultime scorribande in Europea di droni e jet, almeno in parte attribuite alla Russia. Con allarmi e aeroporti chiusi, solo pochi giorni fa, nella stessa Danimarca. Il cui cielo ieri era pattugliato non solo dall’aviazione danese, ma anche aerei di Germania, Francia, Svezia e Usa.
«Ci troviamo di fronte alla più grande sfida alla sicurezza dalla fine della Seconda Guerra Mondiale – avverte l’anfitrione, la premier danese Mette Fredriksen -, con la guerra ibrida e violazioni dello spazio aereo della Nato: dobbiamo essere in grado di difenderci». Sul Financial Times la premier afferma che la «guerra ibrida» all’Europa «è solo l’inizio». Cupo anche il presidente francese Emmanuel Macron, che parla di clima «di opposizione frontale con la Russia». «Siamo quasi in guerra ibrida, dobbiamo essere pronti, la Russia non smetterà», ammonisce pure il premier finlandese Petteri Orpo.
La riunione è stata dominata anzitutto dalla difesa, che ha tenuto i leader impegnati per quattro ore. Spicca naturalmente l’urgenza della risposta alla crescente minaccia dei droni. «Copenaghen – afferma su X la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen – rimarrà il luogo dove plasmiamo il futuro della difesa dell’Europa». La Commissione presenterà nelle prossime settimane una tabella di marcia che ha tra le priorità anzitutto il “muro di droni” e uno scudo spaziale.
Sull’urgenza di rispondere alla minaccia dei droni sono in sostanza tutti d’accordo. Meno unità, però sul “muro di droni” proposto da Von der Leyen e pienamente appoggiato dagli Stati dell’Est Europa. Perché, al contrario, dominano le perplessità soprattutto tra i membri occidentali dell’Ue, a cominciare da Germania e Francia. Giorni fa il ministro della Difesa di Berlino Boris Pistorius ha detto di non essere contro il muro di droni ma che «le priorità sono altre». E colpisce che il cancelliere Friedrich Merz in una breve dichiarazione all’arrivo abbia citato come temi del vertice la «competitività» e l’Ucraina, zero sulla difesa e i droni. «A volte – avvertiva ieri il presidente francese Emmanuel Macron - diffido dei termini un po' affrettati. Esistono cupole di ferro (l’allusione è all’”Iron Dome”, il sistema antimissile israeliano) per gli europei o muri di droni? Le cose sono più sofisticate, più complesse. In realtà, abbiamo bisogno di sistemi di allerta per anticipare meglio la minaccia. Esistono tecnicamente, bisogna svilupparli insieme. Bisogna dissuadere con capacità di tiro a lungo raggio, capacità balistiche europee». Perché gli sconfinamenti e le incursioni dei giorni scorsi, sottolinea, «dimostrano che abbiamo bisogno di sistemi di allerta precoce molto efficaci e di cooperare tra di noi per proteggere il nostro spazio comune».
E poi ci sono i Paesi del sud, Italia e Grecia in primis, che premono affinché si guardi anche al fianco Sud. Restano inoltre molti dubbi sul finanziamento e sulla governance di questo “muro” di droni. E c’è un altro punto cruciale: buona parte delle capitali insiste che la difesa, anche se più “europeizzata”, debba essere in capo ai ministri della Difesa, limitando il ruolo che invece Von der Leyen cerca di ritagliare per la Commissione Europea.
L’altro grande tema sul tavolo, cui però i leader hanno dedicato solo un’oretta, è l’Ucraina (con anche un intervento in video del presidente Volodymyr Zelensky), soprattutto quello del finanziamento di Kiev. «C'è un crescente consenso tra noi – ha affermato Von der Leyen - sul fatto che non sono solo i contribuenti europei a dover pagare per il sostegno all'Ucraina, ma che la Russia deve essere ritenuta responsabile». La Commissione ha escogitato un marchingegno giuridico per emettere titoli sulla base dei beni russi congelati in Europa, anzitutto della Banca centrale russa, senza toccarli direttamente, con la garanzia degli Stati membri. Secondo Finlandia e Svezia, il fabbisogno ucraino è di 130 miliardi di euro nel 2026 e 2027. Il piano della Commissione mobiliterebbe circa 140 miliardi di euro. La Germania è favorevole, altri frenano. Anzitutto il Belgio (in cui si trova la massima parte di questi soldi). «Prendere i soldi di Putin e lasciare a noi i rischi? Non se ne parla proprio», ha inveito il premier belga Bard De Wever. Anche la Francia ha dubbi, Macron ha avvertito dei rischi di far scappare gli investitori e vorrebbe invece eurobond garantiti dal bilancio Ue. «Non stiamo confiscando i beni – cerca di rassicurare Von der Leyen - ma stiamo prendendo i saldi di cassa per un prestito all'Ucraina», la quale «dovrà restituire questo prestito se la Russia pagherà le riparazioni, perché il colpevole deve rispondere». Se ne riparlerà, come per la difesa, al Consiglio Europeo del 23 e 24 ottobre.
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