Chi è Maria Corina Machado, Premio Nobel per la pace venezuelana
La leader dell'opposizione, 58 anni, «tiene accesa la fiamma della democrazia tra crescente oscurità» e vive nascosta. Ma per il suo Paese sostiene l'intervento Usa

«Mi merito il premio Nobel per la pace, ma non me lo daranno mai». La predizione narcisistica annunciata dal presidente Usa Donald Trump nei confronti di sé stesso si è avverata questa mattina, a Oslo, dove il premio Nobel 2025 è stato conferito alla leader oppositrice venezuelana, Maria Corina Machado, e non al tycoon, che manteneva viva l’illusione dietro l’apparente disincanto. Soprattutto dopo l’accordo, in fase di attuazione, siglato da Israele e Hamas che però, secondo gli organizzatori, non avrebbe avuto «alcun impatto» sulla scelta del Comitato, in quanto la decisione era già stata presa prima dell’intesa di pace sulla Striscia. Così il riconoscimento è andato a Machado, la prima Nobel del Venezuela, che il presidente del Comitato, Jørgen Watne Frydnes, ha descritto come «figura chiave e unificatrice in un’opposizione politica che prima era profondamente divisa» e che, attraverso di lei, ha trovato un terreno comune nel rivendicare libere elezioni e un governo rappresentativo».
Il Comitato ha poi elogiato la scelta di Machado di rimanere nel Venezuela, «costretta a vivere nella clandestinità», nonostante «le gravi minacce contro la sua vita». Tale condizione quasi certamente impedirà a Machado, tuttora nascosta, probabilmente nell’edificio dell’ambasciata Usa a Caracas, di ricevere il premio di persona. La sua decisione avrebbe «ispirato milioni di persone», ha aggiunto Frydnes, osservando che «quando gli autoritari prendono il potere è cruciale riconoscere i coraggiosi di difensori della libertà, che alzano la testa e resistono». Il comitato fa quindi riferimento alle elezioni presidenziali venezuelane del 2024, nelle quali la candidatura della Lady di ferro – che aveva vinto alle primarie indette dall’opposizione per scegliere un candidato unico – è stata bocciata dalle autorità venezuelane. In seguito Machado si è fatta da parte indicando il suo sostituto nella figura dell’ex-diplomatico Edmundo González Urrutia. «Non era la prima la scelta, ma è l’unico nome sul quale i partiti dell’opposizione hanno smesso di litigare», commenta una fonte di Caracas ad Avvenire, spiegando che «prima di allora volavano gli stracci e si sentivano insulti di ogni tipo» nelle riunioni della Pud, la Piattaforma unitaria democratica. Dopo il voto alle presidenziali il presidente Nicolas Maduro ha consolidato il suo potere e l’opposizione contesta ancora «brogli» con i verbali custoditi presso la Banca centrale del Panama e il sogno della transizione è naufragato. Il legame tra i due rimane intatto. Tant’è che, subito dopo l’annuncio a Oslo, González ha telefonato immediatamente a Machado commentando: «Questo è un carajazo!», cioè un bel colpo, mentre Machado ha risposto: «Cos’è successo? Non ci posso credere».
Nata a Caracas il 7 ottobre 1967, Machado ha sempre ambito alla guida politica del Paese sudamericano. È moglie di Ricardo Sosa, madre di tre figli e discendente della famiglia aristocratica Tovar e altre personalità rinomate nella vita del Paese. È stata deputata all’Assemblea nazionale. A livello ideologico Machado crede nelle privatizzazioni, anche della Statale petrolifera Pdvsa, e nel venir meno del ruolo dello Stato nella vita economica del Paese. L’antitesi di vent’anni di chavismo, ma più verso Javier Milei, insieme al quale ha recentemente partecipato al summit “Europa viva 2025”, organizzato in Spagna da Vox, dove ha fortemente criticato la «rivoluzione socialista» di Maduro, che si è trasformata in «una trama criminale», distintasi per il suo «carattere delittivo, terrorista e antidemocratico».
Machado è inoltre favorevole al massiccio dispiegamento militare degli Stati Uniti nei Caraibi, passato da 6.500 a 10mila soldati al largo del Paese e che minaccia possibili operazioni terrestri contro Caracas, nel nome della lotta al narcotraffico. «Manca poco perché i venezuelani recuperino la propria sovranità, libertà e democrazia. Siamo pronti ad assumere le redini di un nuovo governo», ha detto Machado. Il riconoscimento, in apparenza negato a Trump, diventa comunque utile agli scopi Usa nel fronte Sud. Resta allora l’incognita: può il premio Nobel per la pace sostenere l’uso della forza come strumento di risoluzione delle controversie?
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