C'è una Flotilla amazzonica che sta facendo rotta sulla Cop30

Rappresentanti di oltre 60 organizzazioni indigene percorreranno in barca 3mila chilometri fino a Belém per il vertice di novembre. Chiedono un nuovo paradigma
October 22, 2025
C'è una Flotilla amazzonica che sta facendo rotta sulla Cop30
La partenza della Flottilla Yaku Mama dal porto ecuadoriano di Coca/ @HackeoCultural
La concomitanza dei tempi non poteva essere più stridente. La “Flotilla indigena” era appena partita dal porto ecuadoriano di Coca diretta alla brasiliana Belém per chiedere azioni a sostegno dell’ambiente in vista della Conferenza Onu sul clima quando il Brasile, Paese ospite, ha dato il via libera all’estrazione di petrolio nel delta del Rio delle Amazzoni. Benvenuti alla Cop30, il vertice dei paradossi. Il presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha fortemente voluto ospitare l’evento per accreditarsi come “voce” del Sud globale puntando sulla lotta al riscaldamento planetario e alla fame. Proprio in Africa, in Asia, in America Latina, l’aumento delle temperature si traduce nel modo più tragico nella distruzione delle economie di sussistenza da cui dipende la sopravvivenza di gran parte della popolazione. Lo ha ribadito al summit della Fao della scorsa settimana: quella contro povertà e distruzione ecologica è una sola battaglia. E il Brasile – ha aggiunto – la combatte dalla prima linea: per la seconda volta in dieci anni, le politiche sociali del governo hanno fatto uscire la nazione dalla “mappa” mondiale della malnutrizione. La Cop30, in programma dal 10 al 21 novembre, vuole dare un’ulteriore slancio in tale direzione. La scelta dell’Amazzonia – tra le aree più minacciate e più cruciali per la salvaguardia del pianeta – contribuisce a sottolinearlo. Eppure, a meno di tre settimane dall’apertura, l’Istituto brasiliano per l’ambiente (Ibama), controllato dall’esecutivo, ha concesso al colosso nazionale Petrobas la licenza a sfruttare il “bloque 59”, nel cuore della foresta. Determinante la pressione dei settori conservatori con cui Lula, privo di maggioranza parlamentare, attua una difficile convivenza. L’impatto nelle nuove esplorazioni offshore – da cui si potrebbero ricavare fino a 5,6 miliardi di barili di greggio – si profilano devastanti non solo per quest’ultima – che, nel 2024, ha perso già 4,5 milioni di ettari di bosco primario –: i combustibili fossili sono la causa principale del surriscaldamento globale. Da gas, petrolio e carbone deriva il 75 per cento delle emissioni inquinanti, secondo l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc). Il Brasile di Lula contribuisce alla corsa al petrolio con una media di 3,3 milioni di barili quotidiani, l’ottavo produttore mondiale. Contraddizioni che derivano all’ostinazione a tenere in piedi un modello ormai obsoleto. La necessità di immaginare un nuovo paradigma è la spinta che ha messo in moto Yuku Mama, la “flotta del cambiamento”. Il nome è eloquente: Madre Acqua, il serpente fluviale che si trasforma in donna.
A bordo di diversi battelli, i rappresentanti di oltre sessanta organizzazioni native e di base – a cui si sono sommati delegati dal Guatemala, da Panama e dalla Gran Bretagna – attraverseranno quattro Paesi e percorreranno tremila chilometri di affluenti per raggiungere Belém. Lo stesso tragitto percorso nel 1541 dalla spedizione di Francisco de Orellana con cui gli europei “scoprirono” l’Amazzonia. «Stavolta, però, non si tratta di un viaggio di conquista bensì di incontro e di costruzione di relazioni. La nostra non è una mera protesta. È una appello urgente alla Cop a riconoscere che la vera giustizia climatica nasce nella terra, fluisce con i suoi fiumi e si sostiene in quanti se ne prendono cura», ha detto Lucía Ixchú, della comunità maya, portavoce della “Flottilla” d’Amazzonia. «In ogni comunità che visitiamo troviamo segni di resilienza e soluzioni innovative. A Belém non portiamo solo un problema bensì le risposte dei nostri popoli maturata in millenni di presenza nella selva», ha detto il 29enne Alexis Grefa, rappresentante dei giovani Quechua di Santa Clara, uno degli organizzatori dell’iniziativa. Come numerosi studi Onu hanno confermato, i territori controllati dai nativi e dagli afrodiscendenti sono quelli meglio conservati. Per questo, chiedono che la loro attività di conservazione sia inclusa nei Piani climatici nazionali, al centro del vertice. Dai tagli in essi contenuti, dipende la possibilità di contenere l’aumento della temperatura entro la soglia di equilibrio di 1,5 gradi. Una finestra di opportunità quasi chiusa. La sfida ormai è restare entro i due gradi, lo spartiacque tra uno scenario difficile e uno ostile alla vita umana.

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