Annunci e minacce: i test sulle armi nucleari sono un caso
Le parole di Trump, che poi ha fatto retromarcia, hanno aggiunto confusione a un dibattito che divide le potenze: quali sono i numeri da conoscere per capire i possibili rischi

Ha dell'allarmante l'ordine che il presidente statunitense, Donald Trump, ha rivolto giovedì al suo Dipartimento della guerra, mentre era in volo su un elicottero presidenziale. L'incauto presidente ha chiesto al Pentagono di riprendere immediatamente i test di armi nucleari, su un piano di parità con le altre potenze atomiche. Non è chiaro se Trump si riferisse a potenziali detonazioni sotterranee o all'accelerazione dei lanci di prova dei vettori della triade nucleare statunitense. Rivela una certa approssimazione il presidente, essendo i test fisici di competenza del Dipartimento dell'energia, con gli stessi scienziati del Laboratorio di Los Alamos che esprimono dubbi sull'utilità pratica dei test, sostituiti quasi ovunque dalle simulazioni con supercomputer, sfruttanti modelli matematici nello studio relazionale fra la struttura microscopica dei materiali e il comportamento macroscopico di un'arma, sotto l'azione di fortissime pressioni deformanti. Puntuale, come sempre, anche la smentita a sé stesso. Ieri ha infatti aggiustato il tiro: «Faremo dei test, sì, e se altri Paesi li faranno. Se loro lo faranno, lo faremo anche noi». Della serie, scusate scherzavo, è tutto come prima. Ma la leggerezza nasconde però la sostanza.
Sospetti sugli altri
Pur avendo firmato il trattato del 1996 che bandisce i test nucleari, Washington non l'ha mai ratificato e l'ordine trumpiano sovvertirebbe pure una moratoria nazionale ultraventennale. L'Amministrazione sospetta russi e cinesi di condurre prove fisiche di nuove armi, ma i plurimi sensori dell'Organizzazione del trattato bandente gli esperimenti atomici non hanno mai “sniffato” anomalie. Lapidario, l'ex ministro della Difesa, Sergeij Shoigu, attuale segretario del consiglio di sicurezza russo, ha confermato che «i test non si sono mai fermati in nessun paese, nemmeno per un giorno, nemmeno per un’ora, ma si sono svolti nell’ambito dell’uso della tecnica di calcolo, con modelli matematici». Ci troviamo in un momento estremamente delicato nella competizione nucleare fra i 9 Paesi detentori di armi atomiche: Russia, Usa, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord, accomunati da una molteplicità di programmi di aggiornamento nucleare, rinnovo di sistemi e per alcuni di essi potenziale incremento di testate.
Le reazioni alle dichiarazioni
I sopravvissuti giapponesi alle bombe atomiche del 1945 non hanno nascosto il risentimento per le dichiarazioni filo-test nucleari del presidente americano e la Confederazione nipponica delle organizzazioni delle vittime delle bombe atomiche e all'idrogeno, insignita del Nobel per la Pace nel 2024, ha lanciato l'allarme su un potenziale effetto domino tra le potenze nucleari. Terumi Tanaka, fra i leader dell'Organizzazione degli hibakusha, ha affermato che le armi nucleari non dovrebbero essere mai usate come merce di scambio nell'arena politica. Un idem sentire lo accomuna a Shiro Suzuki, sindaco di Nagasaki, fermo nel respingere le parole trumpiane perché «minano la volontà di coloro i quali hanno lavorato instancabilmente per un mondo libero dalle armi nucleari. È assolutamente inaccettabile». La stessa Cina ha invitato gli Stati Uniti a rispettare il precipitato disposto del Trattato sull'interdizione completa degli esperimenti nucleari, non ancora in vigore.
La banalizzazione
La guerra in Ucraina ha banalizzato la retorica nucleare ed è stato laboratorio di prova di missili russi, armabili potenzialmente non solo con testate convenzionali. Ad agosto, Mosca avrebbe attaccato l'Ucraina con 23 cruise duali 9M729, il cui sviluppo aveva mandato in frantumi il trattato bilaterale con Washington sulle forze nucleari intermedie. Russia che ha provato sul campo ucraino anche l'intermedio balistico Oreshnik. Ma di missili a doppia capacità abbonda pure la Cina, ferma nel ribadire che non utilizzerà per prima l’arma finale, con un bemolle risalente ad alcune dichiarazioni di funzionari di partito e all’ultimo rapporto del Pentagono, secondo il quale la strategia nucleare cinese sussumerebbe la possibilità di ricorrere alle armi nucleari come risposta ad un attacco non nucleare che minacci la sopravvivenza delle forze strategiche, del comando e controllo nazionale o che si approssimi per devastazioni agli effetti strategici di un attacco nucleare.
Gli arsenali a disposizione
Secondo le stime della Federazione degli scienziati americani, concordi con l'ultimo rapporto dell'Istituto per gli studi sulla pace di Stoccolma, sarebbero immagazzinate nei bunker delle 9 potenze atomiche 9.614 testate nucleari, per oltre quattro quinti di matrice russo-statunitense. Quasi 4mila sarebbero attualmente dispiegate e 2.100 fra quelle russe, statunitensi, britanniche e francesi sarebbero pronte all'uso, nell'immediatezza di un ordine di lancio. Configura la possibilità di un lancio su allerta anche il nuovo corso cinese, il cui arsenale potrebbe lievitare dai 600 ordigni attuali a un migliaio nel giro di un quinquennio, facendo registrare il tasso di proliferazione nucleare mondiale maggiore. Donald Trump ha più volte ribadito di voler associare in un sistema pattizio di nuova generazione non solo Mosca ma anche Pechino, rinegoziando a tre il trattato bilaterale con Mosca sulle armi nucleari strategiche (New Start), in scadenza nel 2026.
Così, in uno scenario di crescente opacità sulla reale disponibilità di armi nucleari, di potenziale espansione degli arsenali e di tramonto degli accordi di disarmo, ci sono pure potenze non nucleari, dotate dell'occorrente per l'esserlo in breve tempo, e stati paria come l'Iran, bombardati di recente nell'infrastruttura e nelle menti del programma militare nazionale dell'atomo, inviso alla alla comunità internazionale e, soprattutto, al duo israelo-americano.
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