giovedì 23 dicembre 2021
Un anno fa la 13enne Arzoo Raja era sfuggita al sequestratore, i giudici hanno consentito al suo rientro in famiglia
Cerimonia dei riti natalizi  a Lahore nel Punjab dove è presente la più consistente comunità cristiana

Cerimonia dei riti natalizi a Lahore nel Punjab dove è presente la più consistente comunità cristiana - Ansa

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Quasi un anno fa la 13enne Arzoo Raja era sfuggita dal rapitore, che l’aveva convertita all’islam. Ieri l’Alta Corte della provincia meridionale pachistana del Sindh ha accolto la richiesta della famiglia di ottenerne la custodia: in pratica i giudici hanno riconosciuto che la piccola era stata vittima di un sequestro, il 13 ottobre dello scorso anno, da parte del 44enne Azhar Ali. Una pratica tristemente comune in Pakistan per le comunità cristiane.

Ultima svolta di una vicenda che il 28 ottobre 2020 aveva visto addirittura i giudici restituire Arzoo al marito-sequestratore accogliendo la validità del matrimonio poi negata da un’altra corte e visto restituire la libertà a Azhar Ali successivamente revocata con il rinvio a giudizio.

Una vicenda drammatica, quella che ha sconvolto la vita di Arzoo, ma non singolare. Simile a quella di tante altre giovani delle minoranze indù e cristiana (un migliaio secondo stime indipendenti) che ogni anno sono rapite, stuprate, convertite all’islam e sottratte alle famiglie d’origine che solo con estrema difficoltà e con costi perlopiù insostenibili riescono a far valere diritti e giustizia, ricongiungendosi con le figlie.

Giovani donne, a volte bambine, vittime, oltre che della brutalità di individui che pensano di agire impunemente forti della loro appartenenza alla fede maggioritaria nel Paese e di un clima di violenza e omertà diffuse, così come di una legge che fa coincidere l’età minima del matrimonio con il tempo del primo ciclo mestruale e garantisce l’impossibilità per una convertita (una condizione ottenuta spesso presentando alle autorità religiose documenti falsificati riguardo l’età della vittima) di ritornare alla fede originaria.

Una situazione che si pone in contrasto con la legge civile che, come quella vigente nel Sindh, riconosce un’età minima per l’unione a 18 anni. Dopo la sua “liberazione”, Arzoo era stata affidata a una casa protetta nella cittadina di Panah Gah, affidata ai servizi sociali nel timore che il marito cercasse di riappropriarsene. Una custodia che è stata anche un tempo di riflessione e di recupero di stabilità per la ragazza nel frattempo diventata 14enne ma che tuttavia, alla domanda del giudice che le chiedeva sulla spontaneità della conversione non l’ha smentita.

Come confermato all’agenzia Fides da Dilawar Bhatti, presidente della Christian Peoples Alliance, che ha sostenuto la causa della famiglia: «In tribunale i genitori si sono impegnati a non fare alcuna pressione sulla ragazza e a riferire ogni tre mesi alla polizia, anche versando una cauzione come pegno del rispetto di tali impegni. La Corte ha disposto che Arzoo non debba incontrare il suo presunto marito che sta affrontando un processo per violazione della legge sui matrimoni precoci». Non è chiaro se Azhar Ali sarà giudicato anche per violenza sessuale e sequestro.

Una sentenza, quella di ieri, che riporta un senso di giustizia davanti a un fenomeno che è una preoccupazione costante delle famiglie di fede non islamica dove vi siano giovani donne non sposate in un Paese che al mondo è al primo posto nella casistica dei matrimoni forzati seguito da Bangladesh, Somalia e India.




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