sabato 11 giugno 2022
Il conflitto balza agli onori della cronaca in occasione di proteste o di attentati che avvengono nella provincia sudoccidentale iraniana del Khuzestan. Eppure lo stillicidio va avanti da un secolo
Attentato nella città di Ahvaz, nel sud-ovest dell'Iran nel 2005

Attentato nella città di Ahvaz, nel sud-ovest dell'Iran nel 2005 - Ansa

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Il conflitto balza agli onori della cronaca solo in occasione di proteste o di attentati che avvengono nella provincia sudoccidentale iraniana del Khuzestan. Eppure lo stillicidio va avanti da esattamente un secolo, ossia da 36.493 giorni, con un bilancio di alcune centinaia di morti. La questione dell’Ahwaz, come viene definita nel mondo arabo, è iniziata nel luglio 1922, quando il futuro scià Reza Pahlavi ha inviato i suoi uomini per assoggettare l’emirato semi indipendente dell’Arabistan, popolato da arabi. La colonna militare persiana fu annientata per errore sul suo cammino, ma il fatto è bastato per allarmare lo sceicco Khazal circa le reali intenzioni dei suoi vicini.

La sconfitta nel 1924 dello sceicco – e il suo conseguente esilio a Teheran – ha portato all’annessione dell’Arabistan alla Persia, dando luogo a una lunga serie di insurrezioni e rivolte: prima nel 1925, poi nel 1928, 1940, 1943, 1945, 1956-70, 1979, 2005, 2011, infine nel 2018. La politica perseguita dai Pahlavi contemplava l’alterazione della realtà demografica attraverso la confisca delle terre agricole degli arabi ahwazi allo scopo di insediarvi centinaia di migliaia di membri di altre etnie (delle tribù lori e bakhtiari, in particolare), ma anche la «persianizzazione» dei toponimi: l’antica capitale al-Mohammarah viene ribattezzata Khorramshahr, al-Khafajiah Susangerd, al-Salihiyah Andimeshk, al-Fallahiyah Shadegan, e persino il nome di Arabistan – il Paese degli Arabi – ha ceduto il posto a quello di Khuzestan. Il passaggio dalla monarchia alla Repubblica islamica non ha migliorato di una virgola la situazione. Le varie sigle che rivendicano «la liberazione dell’Ahwaz» (Asmla, Afla e altre) hanno intanto intensificato la loro azione, culminata nell’attentato del 22 settembre 2018 avvenuto nella città di Ahvaz contro una parata militare, che ha provocato 25 morti e 60 feriti.

Gli assalitori si sarebbero travestiti da pasdaran prima di aprire il fuoco contro i soldati che sfilavano in commemorazione dell’inizio della guerra Iran-Iraq (1980-1988) che proprio nel Khuzestan ha visto le battaglie più sanguinose del conflitto. Attentati cui Teheran risponde ricorrendo alla repressione e all’eliminazione fisica dei capi separatisti, anche all’estero, come avvenne nel 2017 all’Aia.

Per le autorità iraniane, gli attentati sono solo un tassello nella più ampia campagna di destabilizzazione del loro regime portata avanti dagli Stati Uniti e soprattutto dall’Arabia Saudita, accusata di avere «preso il posto» di Saddam Hussein nel muovere le fila del separatismo arabo.

In questo clima, le frequenti proteste della provincia, come quelle contro la mancanza di acqua oppure contro la costruzione di dighe che sommergono interi villaggi arabi, destano immediatamente sospetti nelle sfere più alte del regime. È successo di recente lo scorso 23 maggio dopo il crollo di un palazzo ad Abadan che è costato la vita a 43 persone. Ma invece di premurarsi a mandare i soccorsi, le autorità si sono preoccupate di inviare i basiji, i volontari della Rivoluzione incaricati di sedare le proteste anti governative.

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