martedì 7 giugno 2022
Ennesime vittime della violenza coniugale esercitata dai mariti e dalla famiglia quale punizione per una dote insufficiente. Le tre donne, dai 20 ai 27 anni, erano sposate con tre fratelli
Due giovani indiane di religione musulmana a Bangalore

Due giovani indiane di religione musulmana a Bangalore - Archivio Ansa

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Sta facendo il giro del mondo la notizia della morte di tre sorelle, di cui due erano incinte, e dei figli della terza, che secondo la versione ufficiale si sono suicidate ma nei fatti sono le ennesime vittime della violenza coniugale esercitata dai mariti e dalla famiglia quale punizione per una dote insufficiente.

A Dudu, un villaggio del Rajasthan, dopo giorni di ricerche sono stati ritrovati in fondo a un pozzo in piena campagna, i corpi senza vita di Kalu, 27 anni - madre di un bimbo di 4 anni e di un neonato di 27 giorni - e delle sue sorelle, Mamta, 22 anni, e Kalesh, 20, tutte sposate a tre fratelli.

Ad aver dato l'allarme è stato il padre delle vittime, Sardar Meena, dopo che le sue tre figlie e i due nipoti non avevano più fatto ritorno al domicilio coniugale. Poco prima del loro decesso, sul suo stato Whatsapp la più giovane delle tre sorelle ha apertamente accusato la "famiglia dei nostri mariti di essere dietro alle nostre cinque morti. Noi non vogliamo morire ma meglio la morte delle sevizie".

Ufficialmente la polizia ha attribuito la causa delle morti al suicidio, ma per la famiglia Meena, originaria di Chhapya, villaggio vicino a Dudu, i veri responsabili sono i generi, accusati di "maltrattamenti e molestie morali incessanti da anni". Lo scorso aprile Kalu era stata ricoverata dopo essere stata pesantemente picchiata dal marito e dalla famiglia di lui. "Le mie figlie subivano violenze e tornavano da noi, ma poi decidevano di dover rientrare al domicilio coniugale, con i mariti", ha riferito il padre sconvolto.

Ad aver fatto scattare i comportamenti violenti dei mariti, della madre e di una cognata, secondo i media tutti finiti in manette, è stata la dote troppo povera delle tre sorelle. La pratica della dote è vietata dalla legge indiano da più di 60 anni, ma spesso viene infranta.

"Avevo dato a loro molti beni: televisori, frigo, mobili. Sono padre di sei figlie quindi c'è un limite a quello che posso fare. Ero riuscito a dare a mie figlie un'istruzione, una cosa già molto difficile", ha aggiunto il padre, esibendo le tessere universitarie delle defunte. Dopo essersi sposate avevano interrotto gli studi su ordine dei mariti, contrari anche al fatto che potessero andare a lavorare.

Secondo i dati del National Bureau of Criminal Records, nel 2020 quasi 7 mila casalinghe sono state uccise e altre 1.700 si sono suicidate a causa della dote ritenuta insufficiente. Un'indagine nazionale sulla salute della famiglia (NFHS) ha rivelato che circa il 30% delle donne sposate ha subito violenza domestica, definita come violenza fisica e/o sessuale. Ma i sostenitori dei diritti delle donne affermano che questi numeri sono solo la punta dell'iceberg. "Tra 30 e 40 donne sono vittime di violenza domestica ogni ora", ha denunciato Kavita Srivastava, attivista dell'organizzazione non governativa per i diritti umani PUCL, sottolineando che questi dati si basano solo sulle denunce registrate dalla polizia. Il problema fondamentale, secondo lei, resta l'inerzia generale della società di fronte alla violenza domestica in India, dando prova di "una rassegnazione davvero molto preoccupante".

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