mercoledì 8 gennaio 2020
I motivi dell'attacco, la reazione simbolica con i missili iraniani, i rischi per i militari, l'escalation e il prezzo del petrolio, l'accordo sul nucleare
Il generale Soleimani e l'ayatollah Khamenei sui manifesti della piazza a Teheran

Il generale Soleimani e l'ayatollah Khamenei sui manifesti della piazza a Teheran - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Perché Trump ha ordinato l’uccisione del generale Qassem Soleimani?
Ufficialmente perché, secondo l’intelligence Usa, Soleimani stava preparando attentati contro obiettivi americani in risposta all’uccisione di miliziani filo-iraniani nei raid dei droni Usa. A credergli, secondo i sondaggi, è il 43% degli americani. A ritenere che sia solo una mossa per distogliere l’attenzione dall’impeachment è invece la maggioranza dei democratici, mentre molti osservatori ritengono che il presidente sia ormai ostaggio dei falchi della sua Amministrazione e della strategia del segretario di Stato Mike Pompeo che, con Israele, vuole mettere fuori gioco la politica di espansione regionale iraniana.

Il presidente statunitense Donald Trump

Il presidente statunitense Donald Trump - Ansa


La reazione iraniana c'è stata. Ora la palla passa a Donald Trump, che l'ha colta al balzo. Ma è finita veramente, è cominciata la de-escalation?
Non c'erano dubbi e la reazione all'omicidio di Soleimani c'è stata: la risposta iraniana alla morte del generale è stata affidata a 22 missili sulle basi americane di Erbil e al-Asad. Resta il dubbio sulle vittime, ottanta per la tv di regime, nessuna per fonti Usa, Nato e irachene. La sostanza però è che per Teheran questo può bastare. L'ha fatto capire chiaramente il ministro degli Esteri Mohammed Javad Zarif parlando di risposta in base all'articolo 51 della Carta dell'Onu che prevede una reazione di fronte a un attacco straniero, considerando come atto di terrorismo l'omicidio del generale dei pasdaran. Per la Guida suprema Ali Khamenei è stato assestato uno "schiaffo in faccia agli americani", mentre la propaganda continua insistere sulle vittime inflitte agli Usa che devono lasciare la regione. Ma all'acme della crisi, paradossalmente, si è aperta anche una finestra di de-escalation. Trump nei giorni scorsi aveva parlato di "risposta responsabile" da parte degli iraniani. Ora ha la possibilità di uscirne: nel discorso alla nazione, dalla Casa Bianca, si è rivolto "al popolo iraniano" dicendo che "insieme si può abbracciare la pace". Qualcuno ironizza che dal primo tweet notturno, nel quale si era limitato a dire "ok", alle dichiarazioni del tardo pomeriggio italiano qualcuno gli abbia nascosto lo smartphone, evitando scivoloni a 140 caratteri come nei giorni scorsi. Scherzi a parte, Trump ha incassato una vittoria strategica e mediatica non indifferente. Gli iraniani hanno dimostrato di non volere (o potere) andare oltre l'attacco simbolico con i missili che hanno dimostrato la loro precisione proprio mancando i bersagli. Ma soprattutto il fatto di non essere in grado di contrapporsi militarmente agli Usa. Se non a costo di un conflitto ben più consistente degli scenari dipinti anche ieri mattina dall'ayatolah Ali Kamenei, conditi di immagini allegoriche tragiche. Continua inoltre, Trump, a tenere le telecamere puntate su di sé e non su quell'aula del Senato dove si decide se ha o meno abusato dei suoi poteri per assicurarsi la rielezione contro Biden. E infine ha colpito un "terrorista che ha ucciso centinaia di uomini e donne americani al fronte" senza subire se non una coreografica risposta missilistico-balistica dai pasdaran che Soleimani governava. E in questo modo creando un precedente che potrebbe rispolverare anche in un ravvicinato futuro. Ma tutto ciò basterà a far calare la tensione? In tempi brevi probabilmente sì, alla lunga la tregua armata siglata senza firme con gli ayatollah verrà messa a dura prova. Soprattutto da "quella bomba che l'Iran non avrà mai con questo presidente", come ha ribadito in risposta all'attacco missilistico alle basi in Iraq. Per la verità ha tentato di fare di più, di rompere il fronte invitando europei, Russia e Cina a uscire da quel Trattato dei 5+1 (firmato da Barack Obama) che Teheran ha annunciato di volere (eventualmente) violare ma non uscirne. E questo va ricordato, soprattutto per gli sforzi che la Ue sta compiendo per ché non diventi carta straccia. La questione "bomba o non bomba" presto, si può starne sicuri, però riemergerà. Sarà argomento della campagna elettorale di Benjamin Netanyahu verso il tentativo di essere rieletto in Israele e sfuggire alla giustizia che lo accusa di tre episodi di abuso. Lo sarà anche per Donald Trump in coincidenza con la snervante corsa dei suoi avversari democratici nella scelta del suo rivale alle primarie. Lui partirà in corsa, sulla scorta dello schiaffo dato in faccia agli ayatollah (questa volta più sonoro di quello che Khamenei dice di aver invece inflitto a lui). C'è anche un inquietante scenario che in molti, putroppo non escludono, esauriti gli strumenti della mediazione, per fermare il nucleare iraniano (come il suo predecessore Bush fermò Saddam con una polverina mostrata alle Nazioni Unite), potrebbe esserci il ricorso alla forza. I fondo l'attacco israeliano del 1981 al reattore di Osiraq è lì a dimostrarlo.

Lo spregio delle bandiere israeliana e statunitense a Teheran

Lo spregio delle bandiere israeliana e statunitense a Teheran - Ansa



L’ultimo strappo sul nucleare, con l’abbattimento di ogni limite dell’arricchimento dell’uranio stracciando l’accordo fatto con l’Occidente nel 2015, che conseguenze può avere?
Dal punto di vista pratico è solo l’ultimo passo, il quinto, dopo l’annuncio di Teheran di voler progressivamente abbandonare l’intesa dopo l’aumento delle sanzioni da parte di Trump nei confronti del regime. E l’imbarazzante disinteressa da parte dell’Europa che, con Francia, Germania e Gran Bretagna era tra i firmatari del cosiddetto patto tra Teheran e i 5+1 (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti più Germania e Ue), conosciuto anche come Piano d'azione congiunto globale, Pacg. Trump ha ribadito che l’arricchimento dell’uranio non porterà, alzando quindi la minaccia, all’acquisizione da parte del regime di ordigni atomici. La più grande paura anche dell’alleato di ferro Usa nella regione: Israele.

Il presidente iraniano Hassan Rohani nell'impianto nucleare di Bushehr

Il presidente iraniano Hassan Rohani nell'impianto nucleare di Bushehr - Ansa


I prezzi del petrolio e dell’oro sono schizzati alle stelle, non succedeva da anni...
Siamo stati abituati a una risposta anaelastica dei mercati agli eventi o sconvolgimenti geopolitici. Attentati terroristici compresi. In questo caso però la crisi riguarda l’area dalla quale provengono quasi i due terzi del petrolio mondiale. Per questo i timori, più che i fatti concreti, hanno alzato il pezzo del greggio fino a superare i settanta dollari al barile (ora è in calo): per tanti è stata però l’occasione per fari grandi affari con le plusvalenze giocando sulle stime future di vendita e incamerando a breve denaro senza muovere un dito. Lo stesso vale per l’oro che ha toccato i massimi dal 2013.

Il prezzo del petrolio è sull'altalena

Il prezzo del petrolio è sull'altalena - Ansa


Le truppe italiane sono a rischio?
Come tutte quelle occidentali. In Iraq abbiamo 900 uomini, duemila in Libano e poche decine in altre missioni regionali. Il ridispiegamento delle nostre forze è però già in atto. La Nato ha fermato ogni operazione di addestramento delle truppe locali, alla quale partecipavano soprattutto i carabinieri.
L’altra notte i soldati italiani hanno lasciato la base americana a Baghdad, da due giorni sotto il tiro dei mortai. Il trasferimento dal compound Union 3 ha riguardato tutti gli uomini italiani impegnati nell'operazione di addestramento delle forze di sicurezza irachene – una cinquantina di carabinieri – ed è stato deciso dallo Stato maggiore della Difesa in accordo con i vertici della Nato. I soldati, che partecipano alla Nato Mission Iraq, non sono stati riportati in Italia, ma sono stati trasferiti in «un un'altra zona, sicura e non lontana». Anche la Germania ritirerà alcune delle sue truppe schierate in Iraq nell'ambito della della coalizione anti-Daesh. Lo ha annunciato il ministero della Difesa. Circa 30 soldati di stanza a Baghdad e Taji saranno trasferiti in Giordania e in Kuwait, ha detto un portavoce del ministero della Difesa: il ritiro «inizierà presto». Anche gli inglesi stanno riducendo la loro presenza, come altri contingenti internazionali presenti.

Militari italiani in Iraq

Militari italiani in Iraq - Ansa

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: