venerdì 18 gennaio 2019
L’estrema destra, con 12 seggi, è stata determinante nell’elezione del primo governatore del Pp. Dopo 37 anni di regno socialista, si fa largo l’alleanza con centristi e liberali che guarda a Madrid
Le proteste alla Puerta del Sol a Madrid contro l’alleanza di governo in Andalusia (Ansa)

Le proteste alla Puerta del Sol a Madrid contro l’alleanza di governo in Andalusia (Ansa)

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«Un governo del cambiamento ci obbliga a parlare di tutto con tutti, senza complessi, pregiudizi o cordoni sanitari». Nel suo primo discorso programmatico Manuel Maria Moreno Bonilla, eletto mercoledì primo governatore del Partido Popular (Pp) in Andalusia dopo quasi 37 anni di dominio socialista nell’era del premier socialista, non cita espressamente la forza di estrema destra Vox, ma gli ammiccamenti sono continui. Più che dal socio liberale Ciudadanos, la legislatura dipende dai 12 seggi del partito nato quattro anni fa da una costola ultraconservatrice del Pp, e che fino alle elezioni andaluse di dicembre languiva nel deserto politico.

Non è il compromesso storico – semmai il suo contrario – e neanche il “patto del Camper” di craxiana memoria, perché il negoziato è stato chiuso dal Pp su due contratti separati, dato che Ciudadanos ha rifiutato di sedersi al tavolo con Vox. Ma ha il significato e il peso della svolta espocale nella regione chiave per il governo di Spagna. È la frontiera sud d’Europa da dove Santiago Abascal, il 42enne leader basco cresciuto sotto la minaccia dell’Eta, paladino dell’ultranazionalismo spagnolo riattivato dal conflitto catalano, muove la “reconquista” di «una Spagna grande e unita», sulle «orme dei re cattolici», che nel 1492 ordinarono l’espulsione di musulmani e infedeli da al-Andalus. Nell’intesa di 37 punti con i Popolari, Vox ha dovuto temperare il suo programma, che va dalla chiusura delle frontiere, all’innalzamento dei muri a Ceuta e Melilla, alla deportazione dei migranti irregolari, alla revoca delle leggi di violenza di genere e di Memoria storica. Fino alla revisione dei diritti della comunità Lgbt, della legge sull’aborto e alla difesa di caccia e corride. Ma il leader con la pistola alla cintura – che di Salvini dice di «apprezzare tutto, meno le solidali simpatie sovraniste per baschi e catalani» – non rinuncia ai suoi obiettivi. Ed è venuto per restare.

Secondo tutti i sondaggi e molti analisti, Vox sarà la chiave di governabilità della ribattezzata triplice alleanza di centro-destra dopo le elezioni municipali, regionali ed europee del 26 maggio. Condizionerà l’agenda politica della Spagna e, aborrendo un’Europa federale, si salderà con Farange o con Le Pen?

A Madrid, nel quartiere generale di Ciudadanos accanto alla Plaza de Toros di Ventas, il leader Albert Rivera, in un difficile esercizio di equilibrismo politico rivendica il ruolo di «argine dei populismi», al tempo che celebra il new deal andaluso. «È l’inizio di un nuovo ciclo politico, il primo governo di Ciudadanos », enfatizza incontrando un gruppo di giornalisti stranieri. Ha ignorato le pressioni del presidente francese Macron e del socio e candidato a sindaco di Barcellona, Manuel Valls, per isolare Vox con un cordone sanitario, come in Francia con Marine Le Pen? «Niente affatto», replica. «Sono totalmente d’accordo: non si può governare con i populisti, che è quello che sta facendo in maniera irresponsabile il Psoe di Pedro Sánchez, preferendo l’appoggio di Podemos e degli indipendentisti catalani a quello di Ciudadanos». La sola linea rossa, è il ragionamento di Rivera, è quella tracciata dai socialisti, che per mantenersi in minoranza al governo, tentano di coagulare sulla Finanziaria le forze che a giugno votarono la mozione di sfiducia a Mariano Rajoy, senza convocare le urne. «Noi siamo al centro e non ci siamo spostati. Il nostro patto in Andalusia è col Pp, un partito costituzionalista e ci preoccupa la deriva frontista di Sanchez, quando – come in Svezia – dovremmo essere assieme a difendere i valori europei», insiste Rivera. Quanto a Vox, che bolla come il «Tea Party spagnolo» sorto dalla scissione alla destra dei Popolari, «non entrerà nella giunta andalusa».

E, secondo il leader del partito arancione, non influenzerà la coalizione conservatrice, pure costretta a passare per le forche caudine di Abascal per ogni legge da approvare. «I rapporti con En Marche e l’Alleanza dei Liberali e Democratici non potrebbero essere migliori», assicura Rivera, che si prepara alle primarie, agli inizi di febbraio, per far parte di un team con un programma comune alle europee. «Staremo a vedere – conclude – se anche in Italia saranno capaci di tessere un’alleanza per muovere assieme una battaglia culturale contro populismi e nazionalismi».

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