Su social e minori è il momento delle scelte forti

di Stefania Garassini
Anche la Danimarca, come molti Paesi, vuole vietare l'accesso ai minori di 15 anni per proteggerli da ansia, isolamento e abuso digitale. Il ruolo educativo degli adulti
October 9, 2025
Su social e minori è il momento delle scelte forti
L’annuncio della premier danese Mette Frederiksen di proporre il divieto di alcuni social media per i minori di 15 anni è l’ultimo in ordine di tempo di una serie di provvedimenti che in varie parti del mondo cercano d’introdurre regole in un mercato più che mai florido, e quindi restio ad accettarle. Obiettivo comune di simili provvedimenti è il recupero di una gradualità di accesso ad alcuni servizi che non sono in alcun modo pensati per bambini e preadolescenti e che, come ha efficacemente sintetizzato Frederiksen, «stanno rubando l’infanzia ai nostri figli». Tra i motivi che hanno indotto la Danimarca ad annunciare la decisione c’è poi l’influsso negativo – ormai documentato da una mole crescente di autorevoli ricerche – sulle capacità di concentrazione, oltre alla correlazione con l’aumento di ansia e depressione tra gli adolescenti. Nella stessa direzione va un provvedimento approvato lo scorso anno in Francia, che stabilisce il divieto di accesso ai social sotto i 15 anni, ma che non ha ancora avuto attuazione per la difficoltà di stabilire un metodo adeguato di verifica dell’età in grado di salvaguardare la privacy.
Anche in Italia c’è sul tavolo un disegno di legge bipartisan, che ha come prime firmatarie Marianna Madia (Pd) e Lavinia Mennuni (FdI) e propone di alzare a 15 anni il divieto di accesso ai social media (che attualmente nel nostro Paese è 14 anni, anche se molto spesso ignorato o non rispettato dagli stessi genitori che regalano ai propri figli uno smartphone al più tardi in prima media). Ed è di ieri la notizia di un disegno di legge analogo proposto dalla senatrice leghista Erika Stefani.  Qualunque sarà l’iter di queste proposte, il segnale è ormai chiaro. E arriva dalla società civile, dalle migliaia di genitori che ogni giorno, nelle trincee della vita quotidiana, si sentono impotenti di fronte a strumenti che colonizzano la mente e il cuore dei propri figli e faticano a imporre regole, spesso perché sono i soli a farlo in un ambiente che invece sembra andare in una direzione totalmente opposta. E mentre si moltiplicano le iniziative spontanee di tante famiglie che si alleano per accordarsi sul rispetto di alcuni principi di base dell’educazione digitale – primo fra tutti l’età di arrivo del primo smartphone, che dovrebbe essere dai 13 anni in su –, con esse si diffonde una maggiore consapevolezza della reale posta in gioco oggi nel nostro rapporto con la tecnologia. I social media sono nati una ventina d’anni fa con una straordinaria promessa: farci connettere meglio gli uni con gli altri, aiutarci a condividere i nostri interessi e le nostre passioni, in una parola vivere meglio, insieme, online.
Ma le promesse non sono state mantenute: i social oggi sono soprattutto un mercato e sempre meno il luogo di una presenza attiva dove mettersi in gioco e condividere realmente qualcosa di profondo con gli altri. Non mancano per fortuna eccezioni e luoghi dove questo è ancora possibile, e vanno senz’altro preservati. L’evoluzione di Internet sta però seguendo una direzione radicalmente diversa e ne è una conferma il recente annuncio di Meta (proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp) e di Open Ai di servizi – Sora2 e Meta Vibes – che ospiteranno video interamente prodotti dall’IA. Andiamo verso una rete popolata di contenuti pensati per intrattenerci e tenerci agganciati, riguardo ai quali non avrà più alcuna importanza se a produrli saranno persone in carne e ossa o software di IA. Di “social” in altre parole sui social media ce ne sarà sempre di meno. Questo annunciano le big tech, mentre dilaga la pratica d’interpellare i software di intelligenza artificiale come amici e confidenti, soprattutto da parte degli adolescenti.
Di fronte a queste derive è sempre più urgente che il mondo adulto riprenda in mano le redini dell’educazione al digitale. È vero che molto spesso non siamo esempi edificanti in questo campo, ma non può essere questo l’alibi per abdicare al nostro insostituibile ruolo educativo. Le regole sull’età d’accesso sono un primo, doveroso passo, e hanno il merito di obbligare le grandi aziende dei social ad assumersi maggiori responsabilità sul controllo dei contenuti e sulla verifica dell’età dei propri utenti. Ma da sole non risolvono il problema di come vivere bene online. Per quello servono adulti autorevoli e credibili, impegnati in un dialogo a tutto campo con i ragazzi, le istituzioni e anche le stesse piattaforme. È una sfida appassionante, che possiamo vincere soltanto insieme.

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