Perché stavamo meglio quando stavamo peggio

Una ricerca Ipsos (che ha coinvolto 30 Paesi) ci descrive come nostalgici e scontenti. Nessun dubbio: tra nascere oggi o 50 anni fa, la maggioranza sceglie il 1975
November 16, 2025
Perché stavamo meglio quando stavamo peggio
Siciliani
Preferiresti nascere oggi, nel 2025, o 50 anni fa, nel 1975? Nessun dubbio: la maggioranza sospira e volge uno sguardo benevolo al passato, quando eravamo più felici, più sicuri, avevamo una scuola migliore e maggiori prospettive di crescita. Unica eccezione: la salute, decisamente meglio farsi curare oggi. Vale per l’Italia, vale per tutto il mondo con alcune, rare, significative eccezioni. Che poi ciò sia “reale”, o frutto nell’ennesima illusione ottica, ognuno lo decida da sé. L’indagine Ipsos ha coinvolto quasi 24mila cittadini adulti di 30 Paesi di tutto il mondo. Sarà che l’effetto nostalgia induce molti, moltissimi di noi ad avere uno sguardo indulgente sul passato, scordando gli aspetti negativi e critici; e invece a non perdonare nulla al presente, mettendo in ombra gli aspetti positivi. In altre parole: del passato tendiamo a far emergere ciò che avevamo, del presente ciò che ci manca.
Fatto sta che, con le debite sfumature, tutto il mondo è paese anche se noi italiani ci piazziamo sul podio dei nostalgici scontenti. Un podio dove campione assoluto è la Francia. Meglio, molto meglio il 1975. La Francia è seguita da Turchia e Italia, con il dato prevedibile dell’età: più si è in là con gli anni, più si preferisce il 1975. Il 1975 è preferito anche là dove la ragione potrebbe e dovrebbe, sia pure a fatica, prevalere sul sentimento. La paura della guerra, ad esempio. E la “sicurezza nelle strade”. Cinquant’anni fa eravamo in piena guerra fredda, con migliaia di ogive puntate sulla testa; in Italia c’erano molti più omicidi, molte più rapine, il terrorismo faceva un morto ammazzato al giorno, andavi a scuola e all’università con serie possibilità di prenderti una randellata o un bullone in testa. Eppure, meglio nascere allora.
Il dato, generico e sintetico, della “felicità” percepita la dice lunga. Nel 1975 eravamo molto più felici per francesi, turchi e italiani. E in coda? Chi ha, ancora oggi, la lucidità per riconoscere il reale? All’ultimo posto – ma in tutti i parametri, e di gran lunga – c’è la Corea del Sud. Seguita da Cile e Argentina. Cileni e argentini non hanno ancora dimenticato come si viveva da loro nel 1975: dittatura, violenza, paura, assenza di libertà, economia depressa. Quart’ultima è la Polonia, che evidentemente non prova nostalgia – almeno non ancora – per il socialismo reale e l’ombrellone sovietico.
Se la smemoratezza europea occidentale, con francesi e italiani in testa, può non stupire, singolare il caso coreano. I coreani solo la grande, clamorosa anomalia tra i 30 Paesi dell’indagine, in compagnia della ben più minuscola Singapore. Appena il 19 per cento preferirebbe nascere nel 1975, contro percentuali altrove ben al di sopra del 50. I coreani non hanno dimenticato che cos’erano 50 anni fa. Altrove il boom economico era in corso o da poco avvenuto e se ne godevano i benefici; da loro assolutamente no, il paese viveva nella povertà e nell’insicurezza. E oggi? Oggi la Corea – sostengono i ricercatori commentando i dati Ipsos – percepisce sé stessa come una società vitale, attraversata da forti disuguaglianze sociali ma anche fornita di altrettanto forti capacità autocritiche, e la ricca produzione di film e fiction ne è la palese dimostrazione. I coreani sono ben coscienti dei propri limiti, ma anche delle proprie potenzialità. Sono una società in movimento, mentre altre società – anche la nostra? Anche quella francese? – non eccellono in ottimismo e tenacia. Il limite, peraltro non evitabile, della ricerca Ipsos? Tra i 30 Paesi coinvolti mancano due giganti del calibro di Cina e Russia. Come russi e cinesi percepiscano sé stessi lo ignoriamo. Ma non ignoriamo che per l’Ipsos, laggiù, le porte sono chiuse.

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