Il dovere di farci carico delle povertà
Nella Dilexi Te un richiamo - molto europeo - alla responsabilità di fronte alle diseguaglianze. Che non vanno lette secondo una logica anti-meritocratica

Nessuna resa al fatalismo, a presunti meccanismi automatici di riequilibrio di mercato o alla tentazione del compiacimento e della quasi contemplazione. La povertà, intesa come miseria che affligge molte dimensioni (non solo economica, ma anche culturale, morale e spirituale) della vita della persona va combattuta ed è lodevole il proposito delle istituzioni internazionali di eliminarla. E nessuna forma di giustificazionismo, in base alla quale i poveri, in fondo, se la sono meritata: i dati freschi dell’Ocse, ricordati ieri da Avvenire, confermano che si tratta di una morsa da cui è difficile scampare, a tutti i livelli. Su questo tema la prima esortazione di Leone XIV offre un ricco contributo alla dottrina sociale con una visione più europea che americana.
Dobbiamo combattere o desiderare la povertà? Un’assenza di discernimento e di riflessione approfondita rischia di precipitarci in questa ambiguità. Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa ci aiuta molto bene a non confondere il senso di creaturalità e il voler vivere per scelta spirituale il proprio essere limitati e dipendenti da/in relazione con chi ci ha creato con la miseria subita, la lotta quotidiana per conquistare beni e servizi essenziali per una vita decente, la mancanza di risorse per curarsi. La formazione filosofica e matematica, orientata alla razionalità e al problem solving del nuovo pontefice lo spinge a scrivere la sua prima esortazione affrontando il problema dei problemi. La continuità con Francesco è evidente nella critica alla “ricaduta favorevole” e allo sgocciolamento (temi della Evangelii Gaudium) come giustificazione alle enormi diseguaglianze di oggi che tornano in questo documento. Leone riprende questo tema criticando aspramente l’idea del non intervento e della «promessa di gocce che cadranno» e le «ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati».
Significativo anche l’attacco alla meritocrazia, che nasconde spesso l’idea che i poveri non abbiano fatto abbastanza per migliorare la propria condizione («Non possiamo dire che la maggior parte dei poveri lo sono perché non hanno acquistato dei “meriti”»). In questo Leone è molto più europeo che americano quando afferma che ûla fame non dipende tanto da scarsità materiali, quanto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale». Viene a mente a questo proposito un noto lavoro empirico di Alesina e Sacerdote nel quale si dimostra che negli Stati Uniti la percezione di mobilità verticale (alimentata dal genere letterario del sogno americano) è molto più diffusa che in Europa e una percentuale doppia degli intervistati ritiene che i poveri siano causa della loro povertà mentre in Europa è molto maggiore la percentuale di coloro che affermano che la povertà abbia cause sociali. Leone fa eco a Francesco anche quando sottolinea l’urgenza di agire, l’idea cioè che «i poveri non possono aspettare» la ricaduta benevolente o lo sgocciolamento di risorse dall’alto (quello che in gergo economico chiamiamo trickle down) di Francesco viene ripresa quando si sottolinea come «la dignità di ogni persona deve essere rispettata adesso, non domani». Molto interessante il punto nel quale si riflette sui dati sottolineando che non bisogna misurare la povertà con criteri di altre epoche ma che la stessa va valutata nel contesto delle possibilità del momento attuale. Motivo per il quale il paniere di beni e servizi essenziali si aggiorna nel tempo e la soglia di povertà (assoluta e non solo relativa) sale ed è diversa a seconda dei luoghi e dei contesti.
Leone afferma infine con chiarezza che «l’impegno a favore dei poveri e per rimuovere le cause sociali e strutturali della povertà… rimane sempre insufficiente» e che «è da salutare con favore il fatto che le Nazioni Unite abbiano posto la sconfitta della povertà come uno degli obiettivi del millennio». La Chiesa non si compiace della miseria, ma condivide l’obiettivo di utilizzare l’enorme potenziale di creazione di ricchezza generato dalla rivoluzione industriale e da quella più recente digitale e dell’intelligenza artificiale per sconfiggere la piaga della miseria, non confondendola con l’aspirazione spirituale a una ricca sobrietà e ad una più profonda percezione e vissuto della nostra strutturale limitatezza e creaturalità. La soluzione del problema non è ovviamente demandata solo alle istituzioni o a un potere sovraordinato ma rende urgente il nostro contributo e partecipazione: il lungo tratto dell’esortazione dedicato a ricordare grandi figure del passato della storia della chiesa con i loro contributi è lì a ricordarcelo.
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