domenica 17 luglio 2022
La Farnesina: casi in aumento, ma è quasi impossibile riprendere i piccoli portati allʼestero illecitamente Leggi inadeguate
La protesta dei genitori 'orfani' dei figli davanti all’Ambasciata greca, a Roma

La protesta dei genitori 'orfani' dei figli davanti all’Ambasciata greca, a Roma - .

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La Farnesina: casi in aumento, ma è quasi impossibile riprendere i piccoli portati allʼestero illecitamente Leggi inadeguate Bambini portati all’estero in modo illecito, famiglie dilaniate, genitori l’un contro l’altra armati, avvocati in campo, sistemi giuridici a confronto (quello italiano e quello dello Stato estero), vicende che si dilatano nel tempo, anni di sofferenza per tutti. E sono purtroppo casi in crescita. La guerra in Ucraina ha reso ancora più drammatiche decine di situazioni conflittuali, già all’esame della Task Force Minori Contesi presso la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero della Farnesina.

Si tratta nella maggior parte dei casi di famiglie miste (lui italiano, lei ucraina) che già negli scorsi anni hanno alzato bandiera bianca per le ragioni più diverse. Spesso, spiegano gli avvocati che si occupano di queste vertenze, le ordinarie difficoltà di coppia diventano montagne invalicabili di fronte alle incomprensioni acuite dalle differenze culturali e linguistiche. E, altrettanto spesso, le mogli tornano in patria, con una decisione unilaterale e inattesa, portando con sé i figli minorenni. Situazioni che in questi mesi di guerra si sono tradotte per decine di padri italiani in lunghe, angoscianti attese per la sorte dei figli. Nessuna notizia certa, i media che riversano in casa informazioni tragiche e incalzanti, stragi di civili, edifici e città rese al suolo. «E se mio figlio fosse lì in mezzo?». È un risvolto della guerra troppo spesso ignorato.

Qualche giorno fa, nell’ultima riunione prima delle ferie della Task Force ministeriale, è stato ribadito che molti dei minori contesi e portati in Ucraina non sono ancora reperibili. Sono state poi affrontate altre vicende di sottrazione internazionale, un fenomeno – si ammette – che sembra non conoscere battute d’arresto. Solo nella prima metà del 2022 la Farnesina ha registrato 51 nuovi casi (rispetto ai 29 dello stesso periodo del 2021), di cui 30 in Europa, 15 in America, 3 in Asia e 3 nel Mediterraneo e Medio Oriente. Ma in totale quanti sono i bambini portati all’estero dall’Italia in modo illecito e tuttora contesi dai genitori? Non lo sappiamo. Circa trecento, se ci limitiamo ai casi denunciati alla Farnesina. Forse il doppio o anche di più, considerando che la maggior parte dei genitori cerca di risolvere il problema in autonomia, affidandosi a un avvocato specializzato. Buio fitto anche sulla percentuale di casi risolti, ma è bene chiarire subito che la storia del piccolo Eitan – il bambino scampato alla strage del Mottarone proprio un anno fa, portato in Israele dal nonno paterno e poi rimpatriato dopo una sentenza del giudice di Tel Aviv che ha riconosciuto la validità del provvedimento d’affido alla zia paterna decisa dall’Italia – è quasi un’eccezione. Troppo spesso infatti il nostro Paese non eccelle per quanto riguarda gli interventi di tutela a favore dei genitori italiani e anche la nostra legge sul tema, la n.64 del 1994 non sembra formulata per mettere al riparo i minori dai tentativi di sottrazione internazionale e, soprattutto, per intervenire in modo efficace nel successivo contenzioso.

Dalla Grecia non si torna Lo sanno bene i tanti padri italiani che da anni si battono per riavere i figli portati all’estero in modo illecito. Come Emilio Vincioni, il padre marchigiano, che da cinque anni lotta per riavere – o almeno per vedere regolarmente – la figlia, che ora ha 6 anni e mezzo. La moglie, di origine greca, dopo il parto ad Atene, deciso consensualmente, si è sempre rifiutata di riportare in Italia la piccola, nonostante fosse il Paese di residenza abituale della coppia. A nulla sono valse le tante richieste di intervento presentate all’autorità centrale e nulla è stato ottenuto attraverso l’iter giudiziario ordinario.

«Lei rimane in Francia con me» Stessa sorte per Guido Taraglio, un padre di Aosta, separato, una figlia di 12 anni. La moglie si è trasferita in Francia e, dopo un week-end trascorso con la ragazza nella sua residenza d’Oltralpe, ha deciso di non restituirla al padre presso il quale era stata collocata fin da piccola e a cui era stata affidata in via esclusiva dal giudice italiano. Il tribunale francese si è subito dichiarato non competente sul caso, ma il Tribunale di Aosta ha rinviato la decisione ai collegi transalpini, mentre quello per i minorenni di Torino ha rifiutato a sua volta di riesaminare il diniego di rimpatrio in Italia stabilito dal giudice francese che, pur riconoscendo l’illiceità dell’allontanamento, si è rifiutato di imporre il rimpatrio per 'motivi psicologici' legati alle condizioni della ragazza.

Germania, achtung Jugendamt Vicenda ancora più complessa quella di Davide Indraccolo, militare di carriera, sposato con una donna italo-romena, un figlio di pochi anni. L’ufficiale, un maggiore, viene scelto per una missione di tre anni in Germania nell’ambito della normale collaborazione tra reparti Nato, e vi si trasferisce con tutta la famiglia. Il figlio frequenta una scuola italiana di Monaco, la famiglia mantiene le sue abitudini italiane, con una data di rientro programmata fin dalla partenza. Ma la moglie, al momento del rientro, decide di lasciare il marito e di trattenere con sé il figlio in Germania. Una scelta illecita, decisa in modo unilaterale, ma anche in questo caso il padre italiano non trova armi giudiziarie con cui affermare i propri diritti, con il Tribunale di Roma che declina la giurisdizione sul minore italiano a favore dell’autorità tedesca. Tanto più che in Germania opera un ente implacabile, lo Jugendamt, che 'protegge' i minori tedeschi e quelli che vivono per un certo numero di anni in Germania a tal punto da trasformare lo Stato in un 'super-genitore' con diritti pressoché totali e indiscutibili.

Armenia, quali diritti? E poi, tra tanti altri, c’è il caso di Ivan Marino sposato con una donna armena da cui si è separato due anni fa. Il tribunale di Siena decide l’affidamento esclusivo al padre dell’unico figlio, 7 anni, concedendo alla madre visite protette. Ma la donna, al termine di una breve vacanza in patria, aveva ormai deciso di tenere con sé il figlio e di non far più ritorno in Italia. Che strumenti ha il padre per far riconoscere i propri diritti? Nessuno. I giudici armeni non riconoscono la sentenza del tribunale italiano e, su richiesta della madre, senza informare il padre, assegnano addirittura al piccolo la cittadinanza armena. E le istituzioni italiane, pur investite della questione, che fanno per opporsi a questa situazione? Nulla. «Spesso nei casi di sottrazione internazionale o trattenimento illecito siamo di fronte a una autentica discriminazione dei genitori e delle famiglie italiane, ovvero residenti in Italia, operata dalle nostre stesse leggi.

I ritardi della nostra giustizia, sommati all’assenza di un secondo grado di giudizio e all’immediata esecutività del decreto di rimpatrio in primo grado, sono tali per cui l’ordinamento italiano finisce nei fatti per penalizzare i propri cittadini, cosa che non accade negli ordinamenti stranieri». Lo sostiene l’avvocato Irene Margherita Gonnelli, di Dpd società tra avvocati con sede in Siena, che da anni si occupa di sottrazione di minori. «La Task Force Minori Contesi della Farnesina – prosegue – fa quello che può ma non è assolutamente sufficiente. Anche perché la nostra legge in materia è ormai inadeguata. Sarebbe urgentissima una riforma ma le proposte di legge sul punto non sono mai state calendarizzate e, addirittura, la più recente, non ha neppure passato l’esame del partito che intendeva presentarla. Andiamo avanti a combattere per i diritti dei minori sottratti, ma senza strumenti giuridici adeguati è una battaglia impari».

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