La nota dottrinale “Una caro” è un'antologia dell'amore: ecco i passaggi più belli
di Luciano Moia
Tra le pagine del documento del Vaticano un’inedita raccolta di voci ecclesiali e laiche mostra come il matrimonio, vissuto nella dimensione dell’appartenenza reciproca, possa diventare scuola di libertà

Ha parole talmente belle, talmente ricche ma anche talmente inconsuete la Nota sul valore del matrimonio come unione esclusiva ed appartenenza reciproca pubblicata dal Dicastero per la dottrina della fede lo scorso 25 novembre che, dopo averne dato notizia il giorno dell’uscita e aver pubblicato un’efficace riflessione di Mariolina Ceriotti Migliarese subito dopo, ci siamo interrogati a lungo su quale fosse il modo migliore per riparlarne ancora una volta. Avremmo potuto intervistare qualche esperto oppure offrire una nuova e più ampia sintesi perché, come detto, in questa “Nota” non mancano davvero gli spunti. Alla fine ci è sembrato opportuno comporre una sorta di antologia dell’amore, scegliendo qualche passaggio tra le tante citazioni del documento che attinge a una serie di autori di ogni epoca – teologi, filosofi, poeti – per raccontare come, dall’antichità fino ai tempi nostri, siano stati davvero tanti i pensatori, non solo cristiani, che hanno cercato di valorizzare l’unione di coppia, la reciprocità, il significato totalizzante della relazione matrimoniale. In questa varietà di voci c’è la bellezza e l’originalità di un testo che non intende ripresentare tutta la teologia del matrimonio – non si approfondiscono per esempio aspetti pur fondamentali come l’indissolubilità, la fedeltà, la procreazione responsabile – ma preferisce fermarsi al senso della monogamia, cioè spiegare e rispiegare perché è bello stare insieme “noi due”, per sempre, in una lunga avventura d’amore che veleggia tra scogli e burrasche, assorbe sbandate e contraccolpi ma, alla fine, con l’aiuto di Dio, approda sulla spiaggia tranquilla di un’unità consapevole, desiderata, feconda prima spiritualmente che biologicamente. La chiave per riuscirci, si spiega, è quella dell’appartenenza reciproca, dove appartenenza non designa mai possesso, prevaricazione, supremazia dell’uno sull’altra ma, al contrario, una concordanza che nasce dal rispetto, dalla stima, da una reciprocità totale, senza ombre e senza strategie. In questa luce “monogamia” – o addirittura il biblico Una caro (Una sola carne) scelto come titolo – non intende rimandare a qualcosa di desueto e polveroso, ma cerca di intercettare la sensibilità contemporanea, vuole parlare ai giovani che tanta fatica fanno a comprendere la bellezza e la verità della sfida ad amarsi per sempre, in una donazione totale ma pienamente consapevole e condivisa. Il testo indaga la simbologia nuziale della Bibbia, sintetizza gli interventi sul tema degli ultimi pontefici, con particolare attenzione alle riflessioni di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco e, naturalmente, Leone XIV, propone approfondimenti su alcuni aspetti che danno senso e cementano l’unione tra i coniugi, come la trasformazione – guai a non svilupparsi nella dinamica di coppia – la non appartenenza e il reciproco aiuto. Ma l’aspetto più interessante, come detto, appare proprio l’intuizione di mostrare come gli infiniti aspetti della relazione siano stati raccontati nei secoli da tanti grandi pensatori. E si tratta di uno spunto che andrebbe valorizzato anche in chiave pastorale, come una meravigliosa “scuola d’amore” capace di toccare i cuori di tutte le coppie che si amano e cercano uno spunto per superare le incertezze e alzare lo sguardo sul futuro.
«Il primo naturale legame della società umana è quello fra uomo e donna. E Dio non produsse neppure ciascuno dei due separatamente, congiungendoli poi come stranieri, ma creò l’una dall’altro, e il fianco dell’uomo, da cui la donna è stata estratta e formata, sta ad indicare la forza della loro congiunzione. Fianco a fianco infatti si uniscono coloro che camminano insieme e che insieme guardano alla stessa meta».
«Come sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che la Chiesa unisce [...]. Quale giogo quello di due fedeli uniti in una sola speranza, in un’unica osservanza, in un’unica servitù! Sono tutti e due fratelli e tutti e due servono insieme; non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi sono veramente due in una sola carne, e dove la carne è unica, unico è lo spirito».
«Se è peccato il matrimonio secondo la Legge, non so come uno possa dire di conoscere Dio quando afferma che il comando di Dio è peccato! No, se “santa è la Legge”, santo è il matrimonio».
«È bello per la donna rispettare Cristo attraverso il marito, ed è bello per l’uomo non disprezzare la Chiesa attraverso la moglie [...]. Ma che anche il marito abbia cura della moglie: e, infatti, Cristo ha cura della Chiesa».
«L’amicizia quanto più è grande, tanto più è ferma e duratura. Ora, tra marito e moglie, c’è un’amicizia grandissima (maxima amicitia): poiché essi si uniscono non solo per la copula carnale, che anche tra le bestie stabilisce una certa soave società, ma per la comunanza di tutta la vita domestica».
«Non solo Lui [Dio] ha fatto l’uomo composto di anima e corpo – una realtà spirituale e una materiale – ma, oltre a ciò, per coronare questa complessità, “maschio e femmina li ha creati”. Chiaramente, la pienezza della natura umana si trova nell’unione perfetta tra uomo e donna. «Il cuore è il centro della persona... dove la tenerezza regna, la concupiscenza si allontana».
«Se torniamo a gettare uno sguardo sulla dedizione reciproca degli sposi, ciò mostra chiaro ancora una volta che la legge comune del loro amore (in senso cristologico) scaturisce tanto dall’atteggiamento loro proprio di un volontario darsi in possesso, e quindi non è una legge imposta dall’esterno, come realmente s’eleva, superando entrambi, quale terza entità feconda, creativa (in senso pneumatologico) e li ispira agli atti della loro dedizione».
«Nell’amore realmente personale, vi è implicito qualcosa di incondizionato che rimanda al di là e al di sopra della causalità dell’incontro degli amanti: essi, quando amano realmente, crescono continuamente al di sopra di sé stessi, approdano ad un flusso che non ha più il suo punto d’arrivo nel finito e nel determinabile. Ciò che giace in una lontananza infinita, che viene tacitamente evocato in un tale amore, alla fin fine lo si può chiamare con un solo nome: Dio».
«In un matrimonio cristiano, infatti, sono tre le persone sposate; e la lealtà unita dei due verso il terzo, che è Dio, mantiene i due in un’unità attiva tra loro e con Dio. Tuttavia, è proprio la presenza di Dio che segna la fine del matrimonio come qualcosa di puramente “naturale”. È la croce di Cristo che pone fine all’autosufficienza della natura. Ma “con la croce, la gioia è entrata nel mondo intero”. La sua presenza è quindi la vera gioia del matrimonio».
«L’amore è abbandono, ma l’abbandono è possibile solo grazie al fatto che io esca da me stesso... ci vuole un passo che sia decisivo, e dunque a tal fine ci vuole del coraggio, e nondimeno l’amore matrimoniale precipita in un nulla quando ciò non ha luogo, perché è unicamente grazie a ciò che si mostra di non amare sé stessi ma l’altro. E in che modo si dovrebbe mostrare se non grazie al fatto che si è solo per un altro?.. Gli amanti riferiscono il loro amore a Dio... che darà ad esso un’assoluta impronta di eternità».
«Nel momento in cui si riconoscono reciprocamente, gli sposi si riconoscono al contempo dinanzi a una realtà superiore che li trascende [...]. La famiglia, infatti, può essere senza dubbio il luogo, la fonte e l’archetipo di ogni socialità [...]. Sarà dunque l’analisi stessa del riconoscimento a consentirci di discernere ciò che vi è di autentico e ciò che vi è di illusorio nella concezione della famiglia intesa come cellula primaria del sociale».
«La verità è questa... Anzitutto l’amore come desiderio o passione, e l’amore romantico – o quanto meno un elemento di esso – dovrebbero, per quanto possibile, essere presenti nel matrimonio come un primo incentivo, come punto d’avvio [...]. In secondo luogo, il matrimonio, lungi dall’avere come suo scopo precipuo quello di portare al compimento perfetto l’amore romantico, ha da compiere nei cuori umani ben altra opera: un’infinitamente più profonda e più misteriosa operazione di alchimia».
«Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio/ non già perché con quattr’occhi/ forse si vede di più./ Con te le ho scese perché sapevo che/ di noi due/ le sole vere pupille,/ sebbene tanto offuscate/ erano le tue».
«Ti do me stessa,/ le mie notti insonni,/ i lunghi sorsi/ di cielo e stelle – bevuti/ sulle montagne/ la brezza dei mari percorsi/ verso albe remote. [...] / E tu accogli la mia meraviglia/ di creatura,/ il mio tremito di stelo/ vivo nel cerchio/ degli orizzonti,/ piegato al vento/ limpido – della bellezza:/ e tu lascia ch’io guardi questi occhi/ che Dio ti ha dati,/ così densi di cielo –/ profondi come secoli di luce/ inabissati al di là/ delle vette».
«Io chiuderò gli occhi/ e solo voglio cinque cose, / cinque radici preferite./ Una è l’amore senza fine.../ La quinta cosa sono i tuoi occhi/ Matilde mia, benamata,/ Non voglio dormire senza i tuoi occhi,/ non voglio essere senza che tu mi guardi».
«I tuoi occhi m’interrogano tristi/ Vorrebbero sondare tutti i miei pensieri/ mentre la luna scandaglia il mare [...] / Ma è il mio cuore, il mio amore./ Le sue gioie e le sue ansie/ sono immense/ e infiniti i suoi desideri e le sue ricchezze/ Questo cuore ti è vicino come la tua stessa vita/ ma non puoi conoscerlo del tutto».
«Che l’Amore è tutto / è tutto ciò che sappiamo dell’Amore».
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