Il selfie di una famiglia con papa Francesco - Foto Siciliani
Tra le tante “rivoluzioni” di Francesco, quella avviata nell’ambito familiare è senz’altro la più coraggiosa. Diciamo avviata perché il percorso rimane lungo e non privo di ostacoli, a cominciare da quelli “interni” con un’opposizione che fin da subito si è rivelata tenace nel suo sforzo di conservare ciò che ormai esisteva solo negli enunciati dottrinali e non più nella realtà della vita familiare.
Consapevole del baratro apertosi negli ultimi cinquant’anni tra la norma e la vita, Francesco ha affrontato il “mistero grande” della famiglia e di tutte le vaste e complesse connessioni (amore, sessualità, matrimonio, generazione, educazione, divorzio, ecc.) chiedendo alla Chiesa uno sforzo mai visto. Non solo per i due Sinodi celebrati sul tema nel 2014 e nel 2015 intervallati da due consultazioni del popolo di Dio – anche questo una novità storica – ma per i contenuti emersi che hanno sollecitato una revisione profonda della prassi pastorale, tuttora in corso.
Al centro di questa “rivoluzione” l’esortazione apostolica Amoris laetitia, che – è bene dirlo con chiarezza – non è un’invenzione stravagante del Papa ma, visto che riprende quasi il 90 per cento della Relazione finale del Sinodo 2105, dev’essere intesa come il frutto maturo di una Chiesa intera, decisa a recuperare il terreno perduto abbandonando la solita logica del fortino assediato e riprendendo la lezione del Vaticano II sulla coscienza degli sposi rimasta un po’ marginale con il magistero dei decenni successivi. Un recupero fondato su due presupposti: tradizione e realismo. La tradizione, secondo la prospettiva più volte indicata da papa Francesco, non è il catalogo di un museo in cui si tengono in ordine i cimeli con il divieto di toccarli né tantomeno di spostarli, ma materia viva dinamica, pulsante. Quanto più se ne sostiene lo sviluppo coerente, tanto più esiste la possibilità di consegnarla alle generazioni che verranno come strumento adeguato per leggere il presente e preparare il futuro. Comprendere quali passi fare per accompagnare al meglio questa trasformazione compete al realismo cristiano che prende concretezza grazie alla pratica del discernimento.
Annunciando la “gioia dell’amore”, appunto Amoris laetitia, papa Francesco non smette di indicare un traguardo, alto, importante ma, allo stesso tempo, non dimentica le ferite, le crisi, le difficoltà e i cambiamenti strutturali, non solo sociali ed economici, che le famiglie concrete vivono e sperimentano nell’oggi della storia.
Riflettere sulle metamorfosi che l’esperienza e la realtà familiare vivono, non è frutto di una volontà determinata nel seguire le mode ma, ci dice il Papa, dal dovere di ascoltare le Scritture che ci indicano la complessità e la dinamicità della famiglia:
«La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla prima pagina, dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva, con il suo carico di violenza, ma anche con la forza della vita che continua (cf Gn 4), fino all’ultima pagina dove appaiono le nozze della Sposa e dell’Agnello (cf Ap 21,2-9)» (Al, 8). Di qui l’invito a “tenere i piedi per terra” e quindi a leggere la Parola di Dio nell’oggi della storia, senza distogliere lo sguardo dalle fragilità e dalle ferite vissute e sofferte nelle nostre famiglie.
In questa prospettiva Amoris laetitia invita a riflettere e ad aggiornare i percorsi pastorali partendo non da una famiglia ideale, sintesi di un paradigma dottrinale a maglie strette, da cui non si può evadere se a rischio di essere considerati fuori dagli schemi ecclesiali, ma da una famiglia reale segnata da contraddizioni, fragilità e tradimenti. Oggi, nell’Occidente cristiano, la stabilità di questo nucleo familiare e in particolare dell’amore coniugale non è più affidata al controllo ecclesiale, né a quello sociale o istituzionale – anzi la società è sempre più indifferente alla tenuta della famiglia – bensì alla libertà e alla coscienza delle persone. E la Chiesa, non senza contraddizioni e tentativi di resistere al corso della storia, ne ha finalmente preso atto. Un passaggio complesso che, se da una parte è garanzia dell’autenticità dei rapporti, dall’altro espone la coppia e la famiglia al “rischio” della libertà.
Ma è giusto considerare un rischio quello che è invece il più grande dono che Dio ha fatto all’uomo e alla donna? Ecco perché – e si tratta di uno degli snodi più rilevanti del pensiero di Francesco sull’argomento – Amoris laetitia guarda alla coscienza, come al luogo in cui si gioca la persona con la maturazione delle proprie scelte e dei propri rapporti con sé stessa, con gli altri, col mondo e con Dio. Un punto nevralgico che investe la riflessione non solo sulla pastorale, ma anche sulla teologia morale della vita coniugale. E il Papa non ha paura di fare autocritica: «Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (Al, 37).
Un passaggio che considera l’incapacità di comprendere e farsi carico da parte della comunità ecclesiale delle ferite e delle fragilità, ma anche delle potenzialità, che il ricorso alla “coscienza” implica. La libertà e la coscienza, secondo papa Francesco, non costituiscono delle minacce, ma piuttosto la scommessa che bisogna giocare, perché il Vangelo possa incontrare le donne e gli uomini del nostro tempo.
Altrettanto fondamentale, in questa prospettiva di rivoluzione evangelica – e come spesso è stato fatto notare del Vaticano II – la rivalutazione del ruolo e dell’identità della donna nell’ambito familiare. Certamente papa Francesco recupera il magistero di Familiaris consortio e di Mulieris dignitatem, ma fa un passo in più, accogliendo ancora una volta gli impulsi più originali della contemporaneità, in una prospettiva di verità cristiana. «Apprezzo il femminismo quando non pretende l’uniformità né la negazione della maternità. Perché la grandezza della donna implica tutti i diritti che derivano dalla sua inalienabile dignità umana, ma anche dal suo genio femminile, indispensabile per la società. Le sue capacità specificamente femminili – in particolare la maternità – le conferiscono anche dei doveri, perché il suo essere donna comporta anche una missione peculiare su questa terra, che la società deve proteggere e preservare per il bene di tutti» (Al, 173-174).
Alla luce della libertà di coscienza e del discernimento vanno intese anche le aperture di papa Francesco ai divorziati risposati, alla persone omosessuali, alle altre forme familiari che non riflettono l’ideale ma in cui esistono comunque quei semina Verbi (Al 34) che la comunità ecclesiale non è chiamata né a condannare né a giudicare, ma a far fruttare sulla base del discernimento, processo difficile, a volte tormentato, certo non frettoloso, nel quale si incontrano e si incrociano la Parola e i vissuti delle persone e delle famiglie. Grazie al discernimento, secondo il pensiero di Francesco, c’è la possibilità di aiutare «ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale… nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo. Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino» (Al, 297).
E ancora, sempre grazie al discernimento, «non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta irregolare vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante» (Al, 301). Un passaggio decisivo che evita il giudizio sulla qualità dell’amore e apre al passaggio da una pastorale delle strutture e delle norme, a una pastorale delle persone, dei loro vissuti, delle loro identità. Una pastorale che accoglie, accompagna e integra – in modo diverso, senza ricette preconfezionate - coloro che lo desiderano nel rispetto della dignità di ciascuno. Una pastorale della vita, consapevole che la realtà non è tutta bianca né tutta nera, attenta a mettere da parte rigidità che oggi non avrebbero più senso per ascoltare la voce di Gesù che vuole una Chiesa «attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alle fragilità» (Al 308).