
© Shannon Fagan - Icp online
È il cambiamento più importante per la vita di una coppia. Ma la nascita di un bambino non è solo un fatto privato e familiare. Si tratta di un evento che riguarda tutto il mondo di relazioni che circonda i futuri genitori. È stato ribadito più volte durante il seminario promosso di recente dalla Facoltà teologica del Triveneto e dal Centro della famiglia di Treviso “La nascita del primo figlio. Tra risorse della coppia e della comunità”, in collaborazione con il Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia e con la Faculté de théologie et sciences religieuses - Université Laval di Québec, in Canada. Un incontro proposto per stimolare la riflessione sul delicato processo che porta alla nascita di un figlio, un passaggio critico sul quale però la ricerca – è stato osservato - ancora non sta dedicando la concentrazione necessaria.
Si impegna invece proprio su questo fronte di studio il progetto di ricerca “Primo figlio”, presentato da Assunta Steccanella, teologa e vicepreside della Facoltà teologica del Triveneto. «Un’indagine che nasce dal desiderio di approfondire alcuni temi relativi alla vita familiare, con l’intento di offrire un servizio pastorale al territorio più qualificato, ma anche di aiutare le comunità cristiane a riscoprire la propria generatività in dialogo con quel nucleo generativo che è costituito da ciascuna famiglia. Si è scelto pertanto di partire proprio dalla nascita del primo figlio, il tema più rilevante dal punto di vista antropologico ed ecclesiale. Come veniamo arricchiti da questo prezioso avvenimento», si domanda la docente. «Noi lo chiederemo direttamente alle famiglie, attraverso l’ascolto diretto, tramite l’indagine qualitativa ma anche con un’analisi antropologica, psicologica e teologica, che mira a chiarire che cosa significa comunità generativa e come le relazioni tra le comunità cristiane e le famiglie possano contribuire a consolidare questa dimensione in entrambi i soggetti collettivi coinvolti».
L’attenzione sociale verso il cammino che porta a una nascita deve cominciare già dal periodo della gestazione, come sottolinea Francesco Carotenuto, psicologo del Centro della Famiglia. «La gravidanza è un passaggio cruciale, un vissuto di grandi cambiamenti per entrambi i partner, perché in questo momento si fissano le aspettative e le rappresentazioni di quella che sarà la nuova vita con il piccolo, dalle quali emergono incertezze, timori, curiosità. Stiamo parlando di una fase di grande fragilità e un’occasione per coloro che sono vicini alla coppia, medici, operatori e gli stessi familiari, per offrire non solo il supporto pratico ma anche con quello emotivo. I partner, cioè, devono sentirsi in grado di affrontare con serenità il loro futuro familiare, grazie a una relazione rinnovata. Devono avere la fiducia necessaria per affrontare la responsabilità genitoriale, che si basa sul delicato equilibrio dei ruoli e soprattutto su una grande alleanza di coppia».
Questa stessa prospettiva è indicata nel libro La buona nascita. Come scoprirsi genitori giorno per giorno, pubblicato di recente dalle edizioni San Paolo. L’autrice, Arianna Ciucci, è responsabile ostetrica dell’Associazione Gepo, che da oltre 40 anni accompagna le future mamme e le coppie durante il percorso della gravidanza. Accompagnare è la parola chiave per intendere quale sia l’aiuto che serve davvero alle mamme e ai papà in attesa. L’autrice lo sostiene chiaramente fin dalle prime pagine del suo testo. «Quello che compiamo, come viviamo e come ci approcciamo, non solo al momento del parto ma durante tutto il percorso della gravidanza e del puerperio, concorre a costruire una Buona Nascita». E che cosa si intende per Buona Nascita? «Un buon incontro - chiarisce l’esperta - un percorso che va costruito giorno per giorno, aiutando la coppia a prepararsi non solo dal punto di vista medico e ospedaliero ma anche sul piano emotivo. Si ribadisce ormai da tempo l’idea che quando viene alla luce un bambino nascono anche due genitori ed è proprio così. E siccome non esiste un unico modello di nascita, uno stereotipo valido per tutti, va riconosciuto che ogni percorso è unico, risultato di una storia irripetibile che qui affronta la svolta più importante. Per questo i futuri genitori si sentono così spesso spaventati. Il compito di noi operatori e di chiunque viva accanto a mamme e papà, è di accogliere e sostenere queste sensazioni, osservando, ascoltando e cercando di far crescere fiducia e competenza. Così intesa - sottolinea Ciucci - la nascita è un fatto che non riguarda solo i partner, e neanche solo la loro famiglia, i medici e le ostetriche, ma l’intera società».
Che la nascita debba essere un evento sociale e non solo parte della vita di coppia lo conferma Laura Pigozzi, psicoanalista e psicologa clinica, studiosa attenta ai fenomeni contemporanei che riguardano i giovani, le donne, le nuove strutture famigliari, i rapporti genitori-figli. «Veniamo al mondo come esseri sociali, perciò i bambini hanno bisogno di passare dal legame a due con la madre alle relazioni con gli altri. In questo senso è fondamentale la presenza precoce di un terzo interlocutore che si inserisca nel dialogo, inizialmente esclusivo, tra mamma e neonato», spiega l’esperta. «Il padre, innanzitutto, ma anche il nido o l’insegnante, sono un aiuto fondamentale per aiutare la madre ad accompagnare il piccolo nel mondo, in uno spazio nuovo dove nascono i suoi primi pensieri e dove può cominciare a esistere davvero. È il passaggio più difficile ma anche il più importante: non sarebbe una buona nascita se questo distacco non avvenisse. Come il vecchio gioco del quindici - considera la psicologa - anche il gioco della vita ha bisogno di una casella vuota, uno spazio di vita per potersi realizzare. Quando a un figlio manca quello spazio, a prevalere è il cosiddetto plusmaterno, cioè l’eccesso di cure, un attaccamento che non si interrompe e soffoca. Perché restando attaccati non si vive».